ph. Fonte Silvia Meo

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Simenon è un grande scrittore e un uomo di sottile e profonda consapevolezza. Sono interessanti le indagini psicologiche dei personaggi, i profili delineati in tratti precisi, suggestivi e reali. Per Simenon non è importante la ricerca del peccatore, ma la comprensione delle condizioni culturali, sociali e del contesto personale e politico che hanno consentito di strutturare le situazioni colpevoli perché umanamente miserabili.

Il presidente, pubblicato nel 1958, non è solo un giallo; siamo dinanzi alla fenomenologia dell’uomo di potere. L’autore ha ufficialmente negato, ma, probabilmente, trae l’ispirazione dalla storia di George Clemenceau, capo del governo francese durante la prima guerra mondiale.

Nel testo, la drammatica e brillante vicenda umana di un politico potente si conclude in un casale sepolto sulla costa normanna, dopo la caduta del suo ultimo governo e la sincope che lo riduce affondato nella poltrona.

Il presidente, ancora assunto dal potere, è patetico, triste, semplicemente ripiegato su se stesso. L’intelligenza non gli serve per capire e per prevenire. La dura ira repressa per compiacere non esprime l’attesa della lenta vendetta, è solo un muro che nega l’intimità relazionale con chiunque. I tre medici, l’infermiera, la segretaria, la cuoca, la domestica, l’autista sono controllori imponenti e infallibili. Il potere scelto come un destino irrimediabile è l’unico affetto, è il senso di tutta la vita. I lineamenti tirati del presidente non richiamano il rispetto, titillano la furbizia dei servitori venduti.

Le relazioni finte, tutte, gli si sono sbriciolate negli occhi, fra le mani. L’uomo del potere, il presidente, il genio politico è un povero cristo che, in ogni situazione, intuendo l’opportunismo, si è illuso, inutilmente, di sfruttarlo per sé. L’interesse personale, l’avidità, i ricatti, la vanità, le competizioni, l’ipocrisia sono la forza di un mondo, di un modello di mondo, inumano.

La morte esiste perché gli esseri umani scelgono di farsi attraversare dall’amore. Il presidente non può morire perché non c’è alcuna vita da abbandonare; il respiro, senza l’éros, non è entrato, non è mai uscito.

In tutta la vicenda, l’uomo è fotografato in una immobilità ridicola rispetto al ruolo apicale. Non per vecchiaia e non per malattia: per la consunzione solitaria del carattere culturale. L’abbandono è pervasivo e il paesaggio della Normandia può essere feroce come i volti dei controllori.

Sono convinta che il dominio e la violenza del patriarcato uccidano i maschi, per prima. Molti uomini hanno disturbi psicologici culturali gravi. Qualora si presentino con impertinenza, brillanti e performativi, sono ancora più malati; certo, sono gli eroi del sorriso finto e della chiacchiera sciolta. Riconosco ancora tante creature che passano la vita a misurarselo e a vantarsene. Sono fragili e irregimentati in camicie di forza copionali, inseguendo antiquati medaglieri fuori contesto. Soli e appariscenti, ignoranti e logorroici, presenzialisti senza presenza psichica, senza forza vitale. Spesso, rimane soltanto il sudore imbarazzante dei venditori furbi, sempre più incattiviti e maldicenti.

Registro continuamente il pericoloso patriarcato che passa attraverso i ragionamenti compiaciuti ad lìbitum che girano senza cogliere la sostanza, un mefitico eroismo virile che sfugge, si intrufola, manipola dappertutto.

Sic transit gloria mundi, anche se l’occasione non è solenne, tradisce, in ogni caso, l’ossessione per la gloria: desideriamo trasformare il modo di stare al mondo che dia valore soltanto alla gloria, desideriamo smettere la coazione a ripetere dell’eccellere e dell’essere primo a tutti i costi. Per molti, il costo è la salute, è la stessa vita.

 

“Prima di andarsene gli sarebbe piaciuto portare a termine la sua opera più segreta, più personale, senza lasciare niente nell’ombra ed esaminando tutti gli aspetti. Non era forse per questo che si era dato alla lettura di memorie, confessioni e diari?  Ogni volta, però, ne usciva deluso e irritato, con la sensazione che l’autore avesse barato. Lui voleva la verità allo stato puro, allo stato grezzo, come la pretendeva da se stesso, fosse pure una verità disgustosa o ripugnante.  Gli scrittori che aveva letto, invece, aggiustavano le cose – era ormai abbastanza avanti negli anni per capirlo. Tutti avevano, credevano o sostenevano di avere una verità, mentre lui, che la cercava con tanto accanimento, non la trovava.”

Simenon, Georges. Il Presidente (Biblioteca Adelphi) (Italian Edition) . Adelphi. Edizione del Kindle.

 

 

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