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Una miserabile questione psicologica

 

 

 

 

 

 

 

 

Ph.Fonte Silvia Meo

 

 

 

 

 

 

 

 

Le riflessioni che propongo non hanno il tono solenne della certezza e conservano il tono mesto dei dubbi in confidenza. In questo tempo complicato, esiste una questione psicologica, spesso, sopravalutata o ipovalutata, derisa, strumentalizzata e sottomessa alle mode e alle leggi del mercato. Le malattie mentali sono reali e le cause sono molteplici. Indago e mi impegno nello spazio di prevenzione di ogni persona fra la eventuale sovradiagnosi e lo scetticismo rispetto all’esistenza del disturbo psichico. Non è utile il negazionismo, né l’etichetta medica a tutti i costi.

Gli incontri formativi proposti dalla scuola di educazione Alla persona®, sono utili a ipotizzare e a orientare. Più che prevedere e calcolare i risultati di eventuali interventi medici e psicoterapeutici, mi occupo dell’orientamento psicologico, della predisposizione mentale, del corpo onesto e congruente dinanzi all’altro e alla situazione lavorativa.

Riprendo il pensiero di Roberta De Monticelli, mia filosofa di riferimento in questa ricerca: …“soggettività” ha finito per significare, perfino nella mentalità comune, “non oggettività”. Questione di soggettività, cioè questione “di pancia”, dicono alcuni, “di cuore”, dicono altri – ma sempre, allora, questione di sentimento. E il sentire resta soggettivo e relativo, il sentire non ha accesso a evidenze universalmente condivisibili, il sentire parla di noi e non della realtà, il sentire non ha alcuna apertura alla verità. Lo scetticismo pratico sembra ancora universalmente diffuso, per così dire: dall’estrema destra all’estrema sinistra. (pag.23)

Se il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali diviene un best seller, mi chiedo quante sono le autodiagnosi che alcuni utilizzano come strumento per boicottarsi e per offrire alibi. E mi rifiuto di utilizzare la professione di psicologa per classificare e ridurre in elenco le condizioni umane. Rilevo molte cattive abitudini sociali e aziendali, dall’assimilazione della persona, all’imposizione di sistemi per correggerla, alla segregazione perché, appunto, ritenuta disturbante e inguaribile. Rilevo che, talvolta, i sintomi manifestati sono periodali e possono non diventare un disturbo. La psicologia preventiva svolge il ruolo di guida e di sostegno, favorendo la lettura adeguata della realtà plurale. In alcuni periodi tutti rischiamo di ammalarci, ma non tutti, di fatto, ci strutturiamo nella malattia.

La vignetta dello spagnolo El Roto su Internazionale n.1499 recita: No necesitamos ayuda psicologica, lo que necesitamos es que no nos vuelvan locos! Non abbiamo bisogno di aiuto psicologico, abbiamo bisogno che non ci facciano diventare matti.

La psicologia formativa come prevenzione, quindi, è la possibilità di governare se stesse/i, di sentire, di pensare e di agire in libertà e in autorità. Ritengo ideologicamente offensiva la pretesa che le nostre vite debbano essere amministrate e rimesse in condizioni performative, senza registrare lo scenario complessivo in cui si manifestano le fragilità.

La diagnosi può diventare uno stigma, una copertura o una copertina che proteggono dalla presa in carico della realtà, indubbiamente complessa, e dalla fatica di affinare una mentalità ampia e includente. Le etichette escludono alcuni, mettendo al riparo tutti gli altri dalla responsabilità nell’apprendere il pensiero critico e il discernimento. Se tutti siamo matti, nessuno è matto e nessuno si interroga sulla cultura dominante che, evidentemente, continua a intossicarci. Invece, tutti e tutte c’entriamo con i malesseri psichici, con le fragilità umane, sviluppate maggiormente in alcuni contesti di ingiustizia sociale. Le psicoterapie di diversa scuola e la psichiatria non possono utilizzare il micropotere della diagnosi e della cura e ingenuamente schierarsi dalla parte del capitale e favorirlo, pur inconsapevolmente.

Rimango favorevole e disponibile a indagare, accogliere e accompagnare la conoscenza delle differenze emotive e cognitive di ogni percorso esistenziale di umana evoluzione. Più che la certezza di una diagnosi, serve recuperare come stile di vita, il lavoro interiore di coscienza e di conoscenza del proprio copione. Sono convinta che il senso dell’esistenza sia l’apprendimento, la curiosità, la scoperta di virtute e canoscenza. In mancanza, sopravviviamo nella brutalità dell’emergenza e del fanatismo.

La prevenzione psicologica significa promuovere interamente diverse possibilità di vita ecologica. La violenza e la corruzione, prima di diventare stili di comportamento e malattie gravi, sono visioni di vita rispetto a se stessi, alla relazione, al mondo.

Sono d’accordo con un pensiero di Rebecca Solnit, saggista statunitense, ascoltato in un’intervista: il nostro potere più grande non è nel nostro ruolo di consumatori (io dico consumatori anche di cure psicoterapeutiche e mediche), ma in quello di cittadini, grazie al quale possiamo unirci per cambiare collettivamente il modo in cui funziona il nostro mondo. Solo in questa ampia e globale prospettiva, la psicologia può partecipare alla cura.

In molti casi, che piaccia o meno, è solo (?!) la miserabile questione psicologica e sociale a rendere le persone infelici e ricattabili da parte del potere. Siamo fatti di corpo, di mente, di spirito e di cultura. E di cultura possiamo ammalarci. Culturale significa: ricercare il senso, ridarci le ragioni, costruire i pensieri complessi, guardare le prospettive diverse e opposte, sostenere i dubbi in agguato, i tempi lunghi, la solitudine, le relazioni di sano conflitto. Non ricordo dove ho letto che la cultura è legata al coraggio che in origine fa pace con il cuore, cor, prima che sia temerarietà e cambiamento.

Roberta De Monticelli afferma, riprendendo il pensiero del filosofo Nicola Chiaromonte che nessun individuo può essere giusto in una società ingiusta e che nessuna società può essere giusta se gli individui non sono giusti. La psicologia di rinnovamento si occupa di relazione, di scambio, di restituzione, di giustizia, di gratitudine.

Il possibile ostacolo che avverto nello svolgimento della professione è di natura politica. La filosofa lo scrive chiaramente: non ci vediamo più. Presi dal nostro stesso star male, non vediamo più come sta male il mondo, privo di valore, appiattito nell’indifferenza. Due fenomeni sono connessi, anche, alla condizione depressiva in cui molte persone vivono: la banalizzazione del mondo e la completa dissociazione della politica dall’etica, e perfino dalla logica. (pag.15)

Non è una diagnosi, più o meno certa, a dare senso all’assente o parziale lavoro di individuazione del sé, in un determinato contesto sociale. E non possiamo insistere nelle guarigioni magiche, nell’aspettativa illusoria di una vittoria improvvisa, di una soluzione unica del problema. Tutte le variabili sono interconnesse: psicologica, economica, sociale, politica, filosofica, ambientale.

Non assistiamo più a una crisi momentanea, come un malessere che ha un inizio e avrà una fine. Siamo in una vera e propria mutazione culturale.  E abbiamo bisogno di un altro modo di guardare le cose e gli abitanti della terra. Cos’è la normalità e la salute mentale? E attraverso quale processo definiamo – gli psichiatri definiscono – i criteri di diagnosi? Esistono davvero le devianze e i devianti? La dimensione psicologica e sociale, lo affermo da tempo, può essere fastidiosa o apparire banale, ma è il momento storico di considerarla nel peso e nel valore.

Nelle persone non esiste un interruttore da girare così di botto, perchè alcune convinzioni e comportamenti copionali continuano a svolgere un ruolo di protezione e solo lentamente possono essere affiancati e sostituiti da nuovi pensieri e atteggiamenti. E tutto il contesto deve partecipare alla trasformazione. Non modifico solo la narrazione, lo stile letterario, la strategia retorica o la tradizione dominante. Mi impegno a considerare l’interiorità, i contenuti, i sentimenti semplicemente umani, sciogliendo il dogmatismo valoriale, perché ci sono verità senza fine da scoprire. Senza depotenziare il disturbo psicologico e la fatica psichica, evitando interventi medicamentosi e riparatori al singolo, e aprendo a letture plurime dei sintomi che coinvolgono non solo chi se ne lamenta, ma tutta la società.

Al di là della retorica patriarcale della responsabilità personale che spinge le persone all’azione guaritrice e che le fa sentire sbagliate e matte, tenendole continuamente sottopressione, invito a iniziare un percorso di coscienza personale e di conoscenza psicologica, non certo come espressione di una virtù individuale, ma come un’azione collettiva; non perché pensiamo di essere speciali, anche nello stato di malessere, ma per una differente cultura acquisita.

Il mondo non viene salvato da individui eccezionali e solitari ma da comunità in trasformazione. Abbiamo bisogno di condividere sguardi filosofici, psicologici, artistici. Ed è attraverso la consapevolezza personale per scegliere, la capacità critica per riconoscere, il ragionamento per cambiare che possiamo affrancarci dai danni della cultura dominante e dai proclami del fondamentalismo e del pensiero libertario.

Rinnovamento è in definitiva l’aspetto assiologico della vita umana. Perciò dal punto di vista teologico quello che si chiamava “Spirito” è nella nostra tradizione fonte di renovatio mentis, è donum vitae. Per questo nessuna stagione è cantata quanto la primavera, e ogni sommovimento creduto positivo nella storia prende il nome di “primavera”. Il rinnovamento è una delle corde dei Salmi e l’anima stessa dei Profeti. La Pasqua cristiana porta questo tema al paradosso estremo. (pag.100)

Riferimenti per approfondire:

  • L’attenzione degli adulti, di Sophie McBain su Internazionale n.1496/2023
  • De Monticelli, Sull’idea di rinnovamento, Raff.Cortina, 2013

 

 

 

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