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Nel nome musicale di Idrusa. A ricominciare.

 

Sono affezionata a questa ultima pubblicazione di Camminamenti, Di bellezza non si pecca, eppure. E come ogni lettura perturbante, nel panorama omogeneo dei testi che non danno alcun disturbo, ho custodito per mesi i pensieri che si vanno ancora componendo.

Non posso che ricominciare dall’arte, come via di liberazione e di approfondimento, nel segno di Idrusa, la donna ribelle otrantina per antonomasia che rifiuta le convenzioni della sua comunità. I linguaggi della poesia e della musica liberano e favoriscono l’esperienza psichica profonda. E rimango in ascolto protetto, assorta in solitudine, nella marginalità riflessiva, con le parole, con le note del maestro Claudio Fabi e i versi di Marthia Carrozzo che tormentano e che pacificano.

E penso che in ogni incontro formativo ogni partecipante accetti l’incontro casuale, trasformandolo in una benedizione di crescita personale e di comunità. La relazione di scambio sana, paritaria nella dignità delle due o più persone interlocutrici, evita i salvatori da banco, pronti a presenziare e a mostrarsi utili. Torno spesso sulla figura del salvatore psicologico, subdola e socialmente accettabile, più della vittima e del persecutore che rimangono identificabili facilmente.  In qualunque situazione, il salvatore è l’ingombro funesto, pronto a infilarsi per aiutare come dice lui, per fare, fare, fare qualcosa, rivolgendo le luminarie pacchiane verso di sé.

Così la relazione fra la poeta e il musicista esprime il bene per sé, per il prossimo in assenza o in presenza, per l’intero contesto. Lui è maestro, lei è maestra e non cercano adepti, favoriscono la parte luminosa di chi c’è, di chi sceglie di creare sintonie. Come negli incontri formativi, le parole, i suoni, i gesti sono sempre musicali,  riuscendo a vedersi e a vedersi con gli altri e le altre, evitando gli assolo.

Se non c’è la richiesta non c’è coscienza di sé e non è il tempo di offrire qualsivoglia aiuto e nota poetica e musicale. Le parole, i versi, la musica rimangono pronti dinanzi ad un cenno che dichiari l’intenzione anche minima di introspezione. Fra i suoni segreti e i ritmi poetici riscopriamo l’armonia del vivere. Nutro una personale avversione verso i salvatori, artisti virili anche quando sono donne, per la particolare attrazione pericolosa verso l’illusione di salvare il mondo. Richiamo il pudore dei silenzi: la contemplazione è frustrante per l’onnipotente. Sono convinta che il fine dell’incontro artistico o formativo rimane la relazione.

Lontani da leggende, bufale e rumors che fanno soffrire un’arte moderna che stenta a essere visibile e riconosciuta dalla maggioranza omologata, mi predispongo all’incontro nel silenzio- Con Marthia Carrozzo e Claudio Fabi ascoltiamo la musica, leggiamo le interazioni in confidenza, gli scambi di prospettive, i versi che affondano, che non ci lasciano in pace, di due artisti non trasformati in gadget e in santini da tv. Incamminarci su certe vie presume l’incontro solo di certe persone. Ascolto le riflessioni, le note e i versi che rimandano all’origine dell’autocoscienza. Il dialogo e l’intervista, assieme, rivelano, in fondo, l’arte del ragionamento, dando potenza l’uno all’esperire dell’altra. La reciprocità si apprende dal lavoro sistematico con se stessi e dalla relazione.

La musica accompagna le parole e le ricrea con luce nuova; assieme smascherano gli imbrogli, demistificano l’ideologia e non possono essere addomesticate da qualunque potere. L’energia trasmessa dalla relazione artistica spinge il cambiamento verso la comunione. La poesia e la musica, dunque, non come un gioco estetico, ma come un percorso di risonanza che narra e cura, come i gesti psichici che incontrano le trasformazioni profonde.

Ogni essere umano custodisce e manifesta Idrusa come parte di sé scalza, in vite movimentate, minime e velate. La leggiadria del corpo è comprensione attraversata dalla lettura psicologica e filosofica e persiste nello sguardo di meraviglia e di curiosità, sguardo poetico e musicale, sguardo d’arte. Il respiro dell’intervista è internazionale perché le voci partecipanti collaborano alla visione di una umanità che riporta a se stessa e che ritrova le ragioni nell’intesa fra umani. A differenza delle contaminazioni psicologiche dannose, le contaminazioni artistiche possono essere sane aprendo così prospettive e scenari molteplici. Condivido con Marthia, la convinzione che l’arte è politica, incontrando ogni persona nel suo nucleo intimo e nel suo fondamento comunitario. Durante il percorso esistenziale partiamo dall’attenzione al corpo per allontanarcene e ad esso ritornare con sempre maggiore accuratezza e profondità. Non di solo cura si tratta, ma di responsabilità nell’assumere ciò che siamo e che diventiamo, oltre le categorie, abusate dal sempre vecchio capitalismo, di utilità, di prestanza, di virilità armata. La poeta e il musicista nominano e si fanno nominare l’un l’altra.

Ogni apprendimento, emotivo e cognitivo, passa attraverso il corpo, necessariamente. Ce ne accorgiamo di più, con l’età che avanza. Il discorso formativo è così, si costruisce naturalmente e pensosamente, in uno scambio in cui la differenza è ampliamento e generatività. L’opera è questa dinamica fra due con altre presenze umane, originali e l’evento manifesta l’armonia del sentire, del riflettere, dell’agire assieme. Può accadere, la chiamo noità, la riconosco nel risveglio, nella forza interiore che risento. È la presenza che continuiamo a sentire, senza darci appuntamento, se c’è stata anche per un attimo la scintilla di intimità e se abbiamo voluto riconoscerla, trattenerla, nutrirla. Oppure, niente, dopo ore di aula o di palcoscenico, a comunicare cose, nomi, luoghi, assiomi, fatti. In aula, ogni volta, non conosco alcuno ed è la magia d’intesa, non conosco e so chi sono e chi sei.

“Sembra venire da fuori, ma che deve venire da te, deve avvenire dentro di te”, afferma il maestro Fabi ed è questa la cifra della universalità della musica, di un verso, di un incontro. Riconoscerci autocentrati per sciogliere l’inganno dell’io autocentrico, l’io narcisista che, pur tecnicamente e metodologicamente ineccepibile, non fa la differenza, non crea. Rimane la retorica di una gestualità inadeguata, tronfia e ampollosa, ridicola, sul palco e in aula. La formazione può essere classica o jazz o rap, punk, rock, pop, non per il look, ma per la fatica del processo di individuazione di sé il quale nasce dal basso, nasce dal proprio corpo e dal corpo sociale.

La poesia e la musica come forme d’arte hanno un significato se ce ne lasciamo pervadere così come è accaduto all’artista quando, dice Jung, “egli ha toccato quella profondità psichica salutare e liberatrice nella quale ancora nessuna coscienza singola si è isolata, per seguire la via degli errori e del dolore, dove tutti ancora sono presi dallo stesso ritmo, dove l’agire e il sentire del singolo si ripercuotono ancora sull’umanità intera”. (C.G. Jung, “Psicologia e poesia”, tr. it. in Opere, vol. x, Boringhieri, Torino 1985, pp. 377-378).

 

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