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Maestri

 

Il lutto è il prezzo che paghiamo

per aver avuto il coraggio

di amare gli altri.

Irvin e Marilyn Yalom

I miei buoni maestri dicono e scrivono intorno al lutto e alla morte. Raccontano le giornate della vecchiaia verso la morte. E io vado a ritroso, a rileggere i loro testi, dall’ultimo al primo. E mi convinco della necessità per gli imprenditori di una educazione Alla persona ® che preveda la confidenza con la finitudine, con il limite e la feribilità. E, dunque, per quelli che scelgono di incontrarmi, considero indispensabile una formazione intorno alle tematiche della morte. Mi rendo conto che può apparire una progettualità lugubre, da menàgramo e che, inevitabilmente può allontanare. Ma l’urgenza di educarci alla morte è la via principale per ripensare le attività lavorative, la vita aziendale, il successo, il guadagno e l’espansione. La formazione intorno alla morte – non ci sono sinonimi per dire diversamente – serve a ritrovare il senso della fatica e della gioia quotidiana. Serve alla vita personale e professionale.

La consulenza psicologica non può fingere di essere un parco giochi ed è costitutivamente pesante, se no, vale la confidenza e il consiglio della zia o dell’amico. Poi, esiste la leggerezza della pesantezza, la leggerezza che può arrivare attraverso il peso della pensosità, delle relazioni profonde, solidali, durature. L’innovazione è possibile a partire da sé verso la pratica di comunità, attraverso le riflessioni guidate sulla morte e sulla vita.

Durante la trasmissione Rebus, con forti perplessità sulla conduzione Zanchini-Augias, ascolto un altro maestro, Vittorino Andreoli. Lo psichiatra propone la distinzione fra il dolore fisico, nelle parti del corpo; il dolore psichico, esistenziale, legato alla fatica di vivere e, infine, il dolore sociale. Rifletto sul dolore sociale che richiama la malattia culturale, alla base dei miei interventi in azienda. Per dirigere, per impegnarci nella professione, è necessaria la coscienza e la conoscenza di sè, del copione e dei giochi di potere che ogni essere umano innesca.

Spente le luci dei teatrini, il capo si ammala volendo essere forte, rigido e resistente, a causa del suo ideale di perfezione. Sopravvive in un mondo costruito su parametri quasi soltanto maschili, rinforzando una mentalità profondamente radicata nelle strutture sociali, politiche, economiche e mediatiche. Considera pericolosa e inaccettabile la finitudine, la mancanza, la perdita e chiede alla psicologia di cancellare l’idea del lutto. L’obiettivo è continuare a proporsi come forti, perfetti, veloci, scaltri, vincitori, sorridenti, pure intravedendone la finzione.

La formazione, invece, favorisce la convivenza dell’energia e della fragilità, lontano dall’idea muscolare e individualista, eccentrica e performante che vuole evitare i conflitti e produrre meccanicamente catene cooperative. E questo pensiero c’entra con la ratio di una psicologia che nell’immediato risolve lo stress, ma che discute anche il sistema, il contesto generale da cui originano i comportamenti inadeguati e dolorosi chiamati, genericamente, ansia. Il capitale ha sempre fretta di battere cassa e di assemblare quote di denaro in poche mani. Il culto della crescita infinita procede indiscusso. La formazione deve ripensare al modello di cura del profitto. La salute psicologica non è una merce ed è fondamentale l’impegno per la prevenzione del malessere strutturato.

Il maschilismo è una costruzione copionale che evita l’idea della morte. È una interpretazione sociale maniacale. È un atteggiamento psicologico e culturale fondato sulla presunta superiorità biologica e intellettuale delle virtù virili, come la competizione, la velocità, la furbizia e degli strumenti virili, come i dualismi, le scale di valore, le piramidi, i bicchieri vuoti e pieni, le carote e i bastoni. Quotidianamente, sono sotto i miei occhi gli effetti del potere, nella logica del dominio, nei tratti identitari usati come strumenti di discriminazione. Allontanare l’idea della morte ci impedisce di godere pienamente della vita, anche lavorativa.

Nell’ ultima intervista dell’ottobre 2011, pubblicata su La Stampa, James Hillman afferma:

Il mio stato di svuotamento esprime qualcosa che non avevo finora realizzato e che può riassumersi nella parola coagulatio. Due princìpi governano tutti i processi alchemici: la coagulatio e la dissolutio. Coagulatio in alchimia significa rapprendersi in un punto, diventare più solidi, più definiti, formati, dotati di morphe. Ora l’intero processo che sto attraversando è la coagulazione della mia vita nel tempo. Ma la coagulatio è sempre seguita dalla dissolutio. Che è esattamente il contrario: dissoluzione, le cose che si separano, si sciolgono, perdono la loro capacità di definirsi. La cosa interessante è che improvvisamente questo spiega i miei sintomi. Non faccio che pensare, morbosamente, che sto affondando sempre di più, che mi sto dissolvendo. Ma le due cose, dissoluzione e coagulazione, sono inscindibili. Non è fantastico? Non ci avevo riflettuto finché non mi è venuta per la prima volta in mente la coagulatio. E la rubefactio, che permette alla bellezza di mostrarsi. Così ora sono una persona diversa. Non avevo mai percepito queste cose dentro di me. O non le avevo mai riconosciute. Prima, non avevo mai saputo chi ero. La consapevolezza viene dal morire.

Gli ultimi testi dei maestri:

 

  • James Hillman, Silvia Ronchey, L’ultima immagine, Rizzoli, 2021
  • Irvin Yalom e Marilyn Yalom, Una questione di morte e di vita, Neri Pozza, 2022

V.Andreoli in Rebus:

https://www.raiplay.it/video/2022/02/Rebus—Puntata-del-13022022-f7450fc0-2d73-49f7-b444-7a7640c866f4.html

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