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Le attività lavorative e la coscienza delle donne

È bella l’opera sempre più ampia dei pensieri e delle pratiche intorno al lavoro delle donne.

Cosa è diventato, in questo nuovo secolo, il lavoro delle donne? E come ripensiamo il successo, il denaro, il potere? Cosa significa riscrivere il desiderio attraverso la liberazione del pensiero, attraverso i corpi e gli spazi delle donne?

Dopo più di vent’anni, io e Tonia abbiamo recuperato le orme della nostra relazione, nata in un’aula di formazione. Ho accettato con gioia, una gioia includente il sentimento di fatica e di responsabilità. Ho recuperato il volto e il nome e, in fondo, è stata Silvia a ritrovarsi naturalmente nel progetto e a decidere di partecipare.

La fotografia non è solo la tecnica, ma segnala, innanzitutto, lo sguardo che dall’interiorità, guarda il mondo e accetta di essere guardato, in uno scambio che trasforma entrambi, la persona e il mondo. Parlo di capacità generativa e trasformativa: insomma, siamo tre corpi, tre anime, tre teste inquiete e in pace. Può sembrare paradossale, ma la tensione alla pace prevede una ricerca senza pace e un cammino di turbamenti.

Abbiamo mangiato assieme e, pensando e parlando, ci siamo incomprese, allontanate, ritrovate. Infine, siamo convinte del lavoro svolto che apre esperienze di verità e rivoluzioni silenziose e profonde.

Il lavoro della cura esiste, ce ne facciamo carico ed è importante tanto da essere scontato. Chiediamo di nominare quel sottinteso che, più o meno colpevolmente, ha destinato molte donne alla sopportazione e alla sottomissione. Le immagini, la voce, la parola sono gli strumenti per vigilare sulle condizioni familiari, personali, professionali.

Le donne sono ancora troppo spesso escluse dal contratto sociale. La minaccia di licenziamento e il contratto precario, la mancanza di democrazia, di welfare, di giustizia sociale e ambientale mantengono in posizione di ricattabilità una parte della società.

Il vissuto del lavoro è asservito alla produzione, al guadagno, al consumo, alla visibilità personale, alla supremazia, come modello unico e universale. Non credo al rovesciamento fisiologico e meccanico delle parti: sotto e sopra; mortificanti e mortificati; sfruttati e sfruttatori che si danno il cambio. Credo nell’analisi dell’esercizio di potere da parte di ogni essere umano perché sia consapevole delle interazioni malsane e dei giochi psicologici.

L’impegno è a facilitare l’utilizzo della critica non come l’aggressione verso qualcuno, ma come l’abitudine a riconoscere le logiche di potere patriarcale ben celate, anche delle donne che imitano, magari inconsapevolmente, il modello predominante di virilità. Non ci sono consigli da distribuire; invitiamoci, semmai, alla coscienza, alla conoscenza di noi stesse e alla ricerca sistematica della storia del pensiero delle donne e dei femminismi.

Allontaniamo l’influenza nociva dell’immaginario che ci convince dell’impossibilità di essere felici lontane dalle relazioni simbiotiche e manipolative. Si può riscoprire il godimento di mangiare insieme, di lavorare per quell’insieme sperimentato che ci fa star bene.

Abbiamo bisogno di correggere la rotta di un’idea politica che ha reso pateticamente evidente il suo sfascio. È importante imparare a prendere la parola e a parteggiare per non diventare conniventi con un sistema senza etica. Non possiamo fare altro che continuare a studiare e a pensare come atto di resistenza individuale e comunitario per spiegare e governare gli squilibri di potere anche psicologico a cui ci sentiamo sottomesse. Non tanto per vincere – cosa, poi? – ma per continuare a vivere da persone libere.

Non voltiamo pagina facilmente e intravediamo una depressione collettiva dovuta all’accentuarsi delle diseguaglianze sociali. È culturalmente difficile eradicare le modalità di sopravvivenza del vecchio mondo che offriva sicurezze, finte, ma ben presentate, basate sulle divisioni, sulle opposizioni, sui pregiudizi e su una visione antropologica tolemaica che sistemava al centro di tutto l’uomo e la sua immediata soddisfazione.

“… essere artiste o artisti visuali non significa solo saper usare il mezzo; vuol dire far vedere il mondo, reinventandolo, come nessun’altra o nessun altro te l’aveva o te lo farà mai più sperimentare e conoscere. Non è un dovere, non è un messaggio, perché l’arte non ha mai nulla da argomentare; è la scommessa di una felicità imprevista, come l’arrivo di un taglio di luce in una tela caravaggesca.”

Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, Einaudi, 2022, pp.84-85

Essere artiste, dunque, come le operatrici di arti di filo, operatrici di storie.

 

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