Convegno Officine

La comunità di pratica: l’esperienza della “scuola di educazione Alla persona”®. Passaggi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ph.Fonte Silvia Meo

 

Sono grata per questo invito; ho la possibilità di fare sintesi in quarant’anni di vita professionale, di vedere la realtà quotidiana, di rivedere i passaggi fondamentali, di prevederne le trasformazioni. E poi di fare silenzio perché la vita possa accadere, anche a prescindere da me, da noi.

Nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza nei confronti delle donne, ancora ci interroghiamo sul vecchio copione maschile, omofobo, razzista e misogino. Lavoriamo per il cambiamento dei modelli virili, soprattutto perché ogni violenza sulle donne, ogni femminicidio racconta la difficoltà, l’impossibilità di registrare la presenza femminile nel mondo e di costruire qualunque relazione con il pensiero libero, con la scelta in autonomia di ogni donna. Compiamo la nostra opera lì dove siamo, accanto alle persone dalle quali ci facciamo incontrare e che decidono di vederci.

Colgo l’occasione del convegno per recuperare le ragioni di avvicinamento ai movimenti femministi e, in particolare, ad alcune pensatrici femministe: loro offrono una prospettiva diversa, capovolta rispetto all’omologazione intorno alle relazioni, al riconoscimento e alla trasformazione dell’esperienza umana. Il lemma femminismo ancora oggi è tanto fastidioso quanto incompreso, fino a divenire, nei casi più malevoli, uno stigma.  Nel mio percorso formativo la teoria analitico transazionale incontra il femminismo negli assiomi fondamentali: la pratica relazionale diviene esercizio di autenticità. La filosofia dell’Analisi Transazionale, l’idea e la pratica di autonomia mi sono state trasferite da Maria Teresa Romanini, mia analista. Ancora confido nel diritto, nella responsabilità e nella capacità individuale a riconoscere e a governare la propria vita

In un primo momento,  il movimento pubblico negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, è maggiormente focalizzato, non esclusivamente, sull’emancipazione e sulla parità. Io, solo negli anni ’90, incontro il femminismo della differenza, il pensiero della differenza, fra Roma, presso la Casa Internazionale delle Donne e Milano, presso la Libreria delle donne. A Carla Lonzi arrivo in modo naturale e non intenzionale: lei e le altre esprimono e organizzano in modo ordinato i pensieri miei, in quel tempo ancora più confusi e solitari. E, appunto, da Carla Lonzi a Luisa Muraro, a Lia Cigarini, ad Annarosa Buttarelli, la pratica dell’autocoscienza facilita il pensiero di donna rispetto a se stessa, agli altri, alle altre e al mondo.

Incrocio i testi delle pensatrici e, pur frequentando per un decennio la scuola per diventare psicoterapeuta, da essa mi allontano, scegliendo la formazione come centrale nella mia professione, più somigliante alla persona che andavo diventando. La rabbia avvertita nutre la rivolta, l’impotenza si trasforma in energia, in azione. L’emancipazione diviene non tanto una via per ottenere il potere al posto dei maschi, con la testa del vecchio trombone patriarca, ma una modalità per aprire, per perdermi e ritrovarmi su altri percorsi, con l’intuizione e con l’umiltà che la ricerca impone.

Mi nutro del pensiero e della ricerca di donne che mi aiutano a riconoscere e a risolvere la trista pratica psicologica nei casi in cui preveda unicamente, come unica cifra di felicità, l’autosufficienza, il benessere individuale, l’autostima, la forza personale, l’empowerment.

Riprendo le parole di Muraro, nell’articolo Tutto comincia da dentro, del 2017: “ … l’allegoria di donne che sfidano l’uomo per rompere il regime d’irrealtà che si è creato con la subordinazione del femminile al maschile. In parole storiche, io ci vedo un’allegoria del femminismo della differenza, quello che ha fatto della differenza sessuale il varco per la presa di coscienza che tutto comincia da dentro (come dicono in architettura), un dentro che racchiude il segreto della soggettività libera. Subordinare gli altri a sé, a cominciare dalle donne, ha fatto credere alla più parte degli uomini di essere entità autosufficienti e di poter controllare e cambiare il mondo mettendolo in un’esteriorità oggettiva.”

L’esperienza della scuola di educazione Alla persona®, nei primi anni duemila, origina dalla proposta di accompagnare le persone che mi si rivolgono, in presenza nuda e patita, per leggere la realtà e per trasformare noi stesse, partendo dai vissuti e dai desideri che divengono modalità di abitare ogni situazione. Il contratto psicologico fra di noi propone, attraverso fasi diverse, la lettura dei testi, soprattutto, delle autrici citate; le riletture possibili del copione e la liberazione del copione sotto forma di ridecisioni. In questa sede non approfondisco, ma sottolineo la diversità fra il lavoro di rilettura del copione e la scelta di liberazione dal copione.

La visione, la struttura mentale, la presa in carico del copione personale non sono cose astratte; la pratica delle relazioni anche conflittuali fra le donne, e fra le donne e il mondo è una forma di amore politico che ci permette di non valere solo come singolarità, ma anche di affinare, di approfondire la noità. Non rivendichiamo diritti come fossero concessioni generose, avviamo il processo delle tre C, in ordine, processo di Comprensione, di Coinvolgimento e di Compromissione.

Oggi penso che la parità non sia tutto, e che valga poco l’affermazione di donne che possono dire o agire come gli uomini. La parità è un passaggio, non è la fine del patriarcato, soprattutto non è l’autonomia dalla rappresentazione maschile della vita e dai modelli interiorizzati. Su questo il femminismo ha fondato l’allontanamento dal sessismo e da tutte le forme di dominio con esso imparentate.

La posizione post-critica attiva la decostruzione in una società in cui prevale ancora pericolosamente l’immaginario e il potere patriarcale, da parte degli uomini e delle donne. Sempre ci tocca riconoscere e disinnescare i dispositivi culturali che appaiono spontanei e innocenti, non intenzionali e che, però, continuano a ignorare il pensiero delle donne e i movimenti femministi.

La costruzione è la parte utopica: la critica alla società fallologocentrica e la pratica, nella quotidianità, agendo in ogni relazione le idee di libertà e di giustizia. Il corpo di ognuna diviene testimonianza viva di una liberazione, anche sessuale, che non è più in funzione del modello maschile. Prendiamo così le distanze dalla competizione e dalle manipolazioni più o meno visibili, dai dati escludenti delle prestazioni, dalle compagnie strumentali rimaste a disposizione di un mercato in cui contano soltanto i soldi e il potere. Siamo lontane anche dal patriarcato di donne che propongono una al posto di tutte, una sola che parli in mio nome.

Abbiamo appreso a fare attenzione alle parole che non sono mai vergini; il passo avanti, oltre il linguaggio, è fare attenzione al contesto nel quale usiamo quella parola, la visione ampia di riferimento e la ricaduta fra la semina e la crescita, rispetto alle parole scelte. Non ci sono parole indicibili, da cancellare. Scelgo parole non vergini, ma caste, castus, da carere, esenti da colpe. Le parole colpevoli sono quelle dette senza pensarci e che si sono sempre usate in una unica accezione escludente.

La capacità argomentativa non è naturale, arriva apprendendo a contestualizzare e a problematizzare, a raccontare del disagio avvertito, registrando l’inquietudine e il sentirci mancanti. Non è snobismo, sine nobilitate, è invece la possibilità di ridare dignità e contezza alla nostra esperienza, quindi, di nobilitare, nella condivisione, i sentimenti e i pensieri. Ci avviamo verso una forma di fedeltà alle differenti e più profonde parti di noi stesse. Senza conformarci a dottrine, ideali, criteri costruiti dagli uomini, dai padri, dai padroni.

Il lavoro della psicologa è il lavoro dell’ostetrica: assiste, vigila, accompagna, talvolta, è solo presente, non fa necessariamente qualcosa, ipotizza, segue l’intuizione, non indottrina e non interpreta a caso.

Quella che chiamo Comunità di Ricerca si è espressa, nel tempo, con la formula della viandanza e della restanza. In una sorta di ampia cittadinanza virale, le relazioni accadono in modalità, in tempi e in luoghi diversi e lasciano ferite come passaggi, come feritoie che accolgono il conflitto, la contraddizione, il dubbio verso le trasformazioni, innanzitutto, di noi stesse/i.

In spazi adeguati, con altre e altri, predispongo il luogo e il tempo a disposizione del pensiero e della condivisione, studiando la formula dell’eremo interiore, come nel beghinaggio e nella pustinìa. Questa è un’anticipazione della vita futura, personale e professionale, come una promessa, un invito. Come una carezza psicologica. È davvero un altro discorso, sarà la storia dell’età più adulta, della mia vecchiaia.

Grazie. Per l’invito. Per l’ascolto.

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