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Il viaggio umano e i cammini personali

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ogni viaggio è una scuola di resistenza,

una scuola di stupefazione, quasi un’ascesi,

 un mezzo per perdere i propri pregiudizi,

 mettendoli in contatto con quelli degli altri

Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

Il viaggio è la metafora della vita umana e ogni persona compie la sua esperienza esistenziale attraverso cammini diversi e complessi. In questo incontro, utilizzo la metafora del viaggio anche come viaggio interiore, come divenire: è il viaggio che inquina di meno.

Viaggiare non significa soltanto arrivare alla mèta, raggiungere il risultato previsto; d’altronde, a noi umani, il finale è noto, è la morte. In ogni percorso, il successo finale è importante ma, ancor più, valutiamo le modalità che abbiamo scelto per vivere, le visioni che abbiamo coltivato, le relazioni che abbiamo incrociato. Rimanendo nella metafora, se è vero che non scegliamo inizialmente di incamminarci, ad un certo punto, dopo essere venuti al mondo, registriamo la nostra presenza e, più o meno consapevolmente, decidiamo come jouer il nostro spartito, come jouer la nostra partita. Mi piace il verbo jouer che nella lingua francese ha, fra molti, il significato di giocare, di suonare e, anche, di raggirare qualcuno e di recitare un ruolo.

Il viaggio si svela, si scopre fra la conoscenza e la coscienza; Jung, uno psichiatra del Novecento, parla di processo di individuazione: Il processo di individuazione è un fenomeno limite della psiche, e richiede condizioni particolarissime per diventare cosciente. Si tratta forse della fase iniziale di uno sviluppo di cui un’umanità futura imboccherà la via, ma che come deviazione patologica ha portato intanto l’Europa alla catastrofe. Sembrerà forse superfluo, a chi conosce la psicologia complessa, illustrare una volta ancora la differenza — chiarita ormai da tempo — tra il divenire cosciente e la realizzazione del Sé (individuazione). Continuo a vedere però che il processo di individuazione è confuso con il divenire cosciente dell’io, e quindi l’Io viene identificato col Sé, con l’ovvia conseguenza di una irrimediabile confusione. Perché in tal modo l’individuazione diventa semplice egocentrismo e autoerotismo. Invece il Sé racchiude infinitamente di più che un Io soltanto, come dimostra da tempo immemorabile la simbologia: esso è l’altro o gli altri esattamente come l’Io. L’individuazione non esclude, ma include il mondo. (C.G. Jung, Considerazioni sull’essenza della psiche, in Opere, VIII, pp. 242-243.)

L’individuazione è un percorso difficile, lungo e doloroso che porta alla realizzazione della personalità individuale, in un contesto storico e sociale. Apprendiamo a vederci e a vederci con gli altri e le altre, in un mondo che ci ospita, che ci nutre e che noi stesse/i collaboriamo a modificare. Iniziamo il percorso guidato di consapevolezza quando avvertiamo una mancanza, una spinta di turbamento, di inquietudine. Nessuno può essere forzato se non è arrivato il suo momento di apprendimento, in lingua greca è il kairos, il momento giusto per metterci in viaggio.

Molti anni fa, pensavo che ogni essere umano dovesse scegliere se compiere il suo cammino come turista, come viandante o come pellegrino; incamminandomi ho capito che in alcuni periodi di vita sono stata una turista, in altri una viandante e in altri ancora, una pellegrina. Adesso, più rallenta il mio passo, più vivo, assieme, da turista, da pellegrina e da viandante. E riscopro i valori diversi di ogni esperienza, in ogni situazione.

Da turista sono veloce, viaggio leggera, voglio vedere più cose possibili, nel più breve tempo possibile, voglio accumulare le foto, costruire i ricordi, postare sui social perché tutti sappiano. Sono contenta, sono in buona salute, posso dormire o mangiare male e poco, posso camminare tanto, ma sono forte e tengo il passo. Sono interessata, vivace, lavoro, prendo appunti che rileggerò. Sono soggetto, sono parte attiva, decido io e risolvo i problemi.

Come viandante mi organizzo, da sola o in compagnia, scelgo l’abbigliamento adeguato, preparo lo zaino, studio le mappe, conosco le tappe, i tempi, e il tempo che farà. Sono consapevole, sono decisa nell’impresa, convinta che ce la faccio, perseguo gli obiettivi e riconosco le relazioni. Rimango di più in qualche luogo, aspetto volentieri che mi raggiungano le compagne e i compagni. La natura dà sollievo, incanta, guida amorevolmente i pensieri, suggerisce mète antiche.

E poi scopro il cammino da pellegrina. Da indifesa, è il viaggio che ammala e che cura; diviene lentissimo, si arresta, poi riprende; ho l’impressione di tornare indietro, di avere sbagliato strada, di avere inutilmente allungato il percorso, di non aver goduto il panorama. Non arrivo in orario da pellegrina, non ho nulla da raggiungere e sento la fatica e il dolore e poi la gioia della nomade. Da pellegrina cammino scalza, mi sento fuori luogo e mi perdo; magari faccio incontri sgradevoli, neanche immaginati. Mi accorgo che è il cammino che mi fa, è la strada che mi sceglie; accolgo l’oscurità, l’indecisione, il mistero della via e degli incontri casuali. Talvolta, il viaggio da pellegrina è virtuale, è a stare, a farmi attraversare da un testo, dalla parola di una persona sconosciuta, da una pièce teatrale, da una musica, dalle scene di un film, da una ricerca su internet che inizia con una parola digitata e finisce chi sa dove.

Nessun cammino è giudicabile perché è proprio da lì che dobbiamo passare, è proprio quella la strada che ci tocca e le relazioni che accadono. Anche negare il viaggio o negarsi significa che ci stiamo muovendo, che scegliamo o che sappiamo farci incontrare, paradossalmente, da ferme. Il divenire dell’essere umano è in ogni modo e non ha mai fine. Diventare grandi significa capire che siamo lì dove dovremmo essere, non c’è un altro luogo e un altro tempo e che andare avanti significa andare indietro, in profondità, significa combaciare sempre di più con se stessi, con il personale nucleo esistenziale.

Le tre modalità di viaggio segnalate possono, in realtà, essere molte di più, si incrociano e i non-luoghi, come li chiama l’antropologo Marc Augé, diventano luoghi abitati da volti e da respiri diversi di cui diveniamo faticosamente consapevoli. E, nello stesso tempo, sono turista, viandante e pellegrina. Eccomi, mi accorgo di esserci, con altri e con altre, in leggerezza e in pesantezza, vicina e lontana, presente per assenza. La differenza ognuno/a la fa per se stesso/a. Ci tocca solo di vivere e di consegnarci all’esperienza e di leggerla, di condividerla e poi rileggerla ancora, con sguardi nuovi, da prospettive diverse. L’esperienza del corpo passa attraverso i cinque sensi, e cammin facendo scopriamo che anche l’anima e il pensiero hanno i loro innumerevoli sensi. I pensieri, i sentimenti, i comportamenti custodiscono odori, sapori, visioni, suoni e contatti.

Abbiamo qualcos’altro da fare se non incamminarci e apprendere, incamminarci per apprendere? Quali parole caratterizzano i nostri percorsi?

 

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