Tuberosa

Il boomerang (o della violenza che ci abita)

 

“… il solito plotone di sociologi, psicoanalisti, filosofi e sobillatori di professione che somministra al pubblico interpretazioni autorevoli: l’egoismo epidemico, l’autismo…

Io credo che la maggior parte delle persone non sia preparata a un evento psichicamente traumatico come un’aggressione brutale.

… Chi sono le persone che odiamo? E quelle di cui abbiamo paura?”

Fabio Bacà, Nova, Adelphi

Ricordo la giovinezza decisionista e binaria che mi permetteva lo schieramento protettivo, chiaro e veloce da una parte o dall’altra. La fatica avvertita, legata all’età storica e psicologica, è in un cammino che si porta appresso tutto, le contraddizioni, i conflitti, le idiosincrasie e le predisposizioni al molteplice. Il carico e il movimento dei pensieri mi paralizzano; poi l’ordine ricomincia a fluire, un modello di ordine che inizialmente non riconosco, un ordine imprevisto.

Faccio bene, talvolta, a negare l’accordo con me stessa. E scopro una lettura appassionante e trasformativa nell’affondo, non fluida, né mai scontata: è la scrittura della maturità di un uomo giovane, esatto e studioso. Fabio Bacà è un istruttore di ginnastica dolce ed è uno scrittore incontrato con la volontà di non dare per scontato l’insipienza delle candidature ai premi Strega e Campiello. L’autore racconta l’esperienza di Davide, un neurochirurgo e di sua moglie, Barbara, logopedista, dinanzi all’aggressione, al comportamento asociale, alla paura, alla protezione e alla trasformazione.

La promessa è abbandonare l’idea che da una parte ci sia la ragione e dall’altra il torto, da una parte il business e dall’altra la cura, come la bellezza e l’orrido, la malattia e il benessere, schierati su fronti avversi. Tutto è assieme e ci tocca non solo l’equilibrio possibile quotidiano, ma il lavoro di attraversamento del buio e della luce, perché si nutrono l’uno dell’altra. Ci tocca non solo tollerare e reprimere la nostra spazzatura, ma convenire sull’orientamento alla speranza che si regge proprio sulla parte repressa, considerata colpevole. Perché, come nel romanzo: “La violenza era ripugnante. Eppure era inevitabile. Era inconcepibile. Ma era produttiva. Era vile. Ma ti faceva sentire vivo. Era disumana. Eppure profondamente, indissolubilmente umana”.

Ogni persona è in contatto con la componente nota e con quella inibita e latente, con l’istinto e la ragione, con la quotidianità sobria e con la follia, con il lato oscuro e istintivo, con le pulsioni ancestrali e primitive e con il raffinato cervello.

È illusorio condannare il male all’esterno, è reale, invece, riconoscerlo all’interno di sé, come responsabilità: è questa la forza degli esseri umani. La quotidianità procede lenta e scontata, il cambiamento è all’interno, nel dialogo faticoso e inarrestabile fra il corpo, la mente e la psiche nelle parti oscure e luminose. Siamo complessi, rozzi e raffinati, capaci di godere perché sofferenti; siamo vivi perché conosciamo la paura e l’abbandono.

Di conseguenza, progettiamo e garantiamo la sicurezza e l’ordine pubblico nella prospettiva ampia di un’offerta che operi con le coscienze e con le conoscenze. Prevediamo l’emergenza sociale e il contrasto alla criminalità attraverso le politiche di comunità, non certo nell’ottica punitiva, escludente e restrittiva dei sussidi, degli spazi, dei tempi.

Si può fuggire dinanzi alla violenza? Si può opporre la mitezza dinanzi a comportamenti violenti subiti? Non mi riferisco soltanto alla follia latente in ogni persona, ma all’alterazione naturale, al cortocircuito fisiologico che comporta la presa in carico della realtà. C’è da diventar matti alla sola idea che nasciamo per ammalarci e per morire.

Operiamo al di là delle espressioni caramellose e perverse dei sentimenti considerati buoni, visto che ne identifichiamo altri come cattivi. Disorientiamo il patriarcato compiaciuto nelle richieste di vittimismo, di scontro e di martirio, sdoganando i sentimenti inadeguati e sgradevoli, accogliendo, voglio dire, tutte le sfumature del sentire senza giudizi.

Gli istrionismi di copertura, le scariche isteriche, le epidemie depressive, le ossessioni maniacali rappresentano il lato oscuro e primitivo da registrare, senza colpe e senza punizioni. Auguriamoci il privilegio e la differenza nel discernere i maestri e le maestre nella potenza e nell’autenticità delle loro voci basse, a margine.

“L’universo è infinito perché contiene tutto l’odio generato dalla razza umana dall’inizio dei tempi. Questo è ciò che siamo. Questa è la sostanza di cui siamo fatti: sangue, furore e detriti di sogni al confine tra sonno e veglia. Dominare la violenza o esserne dominati. Toglietemi di dosso l’epitelio della civiltà fino a esporre il sembiante scorticato del mio vero io. Non sono più solo un medico seduto al capezzale di un ragazzo. Sono il figlio prediletto della foresta e del fiume. Sono il nucleo ribollente di Potere acquattato nelle tenebre in attesa di emergerne. Sono l’uomo con gli occhi chiusi, e medito sul tremendo koan oltre il quale saprò se sono capace di uccidere per salvare me stesso.”

Fabio Bacà, Nova, Adelphi. Edizione del Kindle

 

 

Tags: No tags

Comments are closed.