La riflessione è pubblicata nel N.32 della Rivista online La Stanza di Virginia
la penna di Ada Negri – La Stanza di Virginia
La riscoperta delle scritture di donne è una tendenza editoriale non certo per seguire le mode o per pagare il pegno alla storia ben radicata del femminismo. Far emergere dall’oblio le figure femminili, ognuna per sé, eccezionali è un segno di come la visibilità e i diritti civili non siano mai acquisiti definitivamente e debbano essere ridefiniti e difesi di secolo in secolo.
Le generazioni di donne pensanti si incarnano nel nostro tempo e ci consentono di riscoprire le storie delle sorelle che, nelle piccole comunità, con discrezione apprendono il permesso di esistere e l’intimità onesta e silenziosa. Spesso, l’esposizione di sé, con eccessiva facilità, nelle situazioni di malattia, nelle ferite, nella mancanza rimane uno sforzo di virilità, non è una prova di coraggio e non lo insegna a nessuno. È una questione di equilibrio: la forza autentica ha bisogno di silenzio, di comprensione e di conoscenza, di condivisione fra le sorelle in cammino. Di conseguenza, ogni messaggio arriva in chiarezza e in onestà, è utile a chi si pone in ascolto.
Ada Negri nasce a Lodi, da genitori poveri, il 3 febbraio 1870 e trascorre gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza nella misera abitazione della nonna materna, portinaia, presso il palazzo Barni. Giocando con le figlie del conte, impara a fantasticare su quel mondo aristocratico a cui mai può appartenere, umiliata e offesa per certi compiti che è costretta ad assolvere, in aiuto dell’anziana nonna, come quello di aprire il cancello alle carrozze dei conti e dei loro nobili ospiti.
Trascorre molte ore ad ascoltare la madre mentre legge a voce alta i romanzi d’appendice e affina il rancore, la rabbia, la vendetta verso un mondo ingiusto, di nobili e di pasciuti borghesi, verso le figure maschili, che impongono rapporti di potere e di sudditanza, per il contesto culturale, per l’ignoranza, come il defunto padre, vetturino e ubriacone e il fratello Nani, strano e ribelle, morto giovane.
Ada ha l’opportunità di studiare nella scuola normale femminile di Lodi. Infatti, nel nuovo Regno d’Italia, la legge Coppino del 1877 istituisce l’istruzione elementare obbligatoria per i minori. L’insegnante Paolo Tedeschi, uno dei pochi uomini affidabili che Ada incontra, intuisce il suo talento e la incoraggia a proseguire. Nel 1887, il diploma le consente di essere assunta come insegnante elementare presso il Collegio Femminile di Codogno; in seguito, nella scuola elementare di Motta Visconti e, ancora, presso l’Istituto Superiore Gaetana Agnesi di Milano.
“Mi amavano. Sentivo che mi amavano. Non come una maestra: bensì come una compagna grande”.
Ada Negri si propone come una compagna grande, come il pane caldo sfornato di Chiarascura, con i suoi sbalzi d’umore.
Alla fine del 1800 entra in contatto con il socialismo riformista milanese, conosce Anna Kuliscioff, Filippo Turati, Margherita Sarfatti e Benito Mussolini che le assicureranno, a regime instaurato, il benestare della politica. Negri rimane attiva nel mondo dell’associazionismo politico milanese e nelle istituzioni filantropiche, fondando l’Asilo Mariuccia, a favore delle donne prostitute e dei minori.
Conferma il suo impegno civile con articoli e racconti di storie di donne che rappresentano, in fondo, momenti diversi di una sola donna, di ogni donna, a capo chino, nelle fabbriche, negli opifici, a dimenticare il desiderio, l’amore, il sogno, a causa della fatica e della disperazione.
La raccolta di racconti Sorelle, ristampato quest’anno da Neri Pozza, esce nel 1929, quando Ada è sessantenne. La prosa è intensa, sofferta e le parole scorrono con la luce e l’ombra di chi registra la realtà ed è capace di trascenderla, di ritrovarne i significati più nascosti e più autentici. Condivido il pensiero di Elisabetta Rasy:
“… ma racconta soprattutto, e cerca, la ragazza che è stata: selvatica, superba e ostinata, smaniosamente attaccata al piacere di esserci e alla voglia di dirsi.” (p.134)
Nelle storie, riconosciamo la presenza delle donne liberate da qualunque illusione di salvazione: non salvano e non si salvano, dunque, possono incontrare il prossimo nelle situazioni di realtà. In questi tempi avari, abbiamo il bisogno di ricoprire la solidarietà come nelle storie di Ada Negri. La generosità de La Cacciatora, la donna-uomo seguita sempre dalla sua cagna, è la provvidenza dei miserabili, a trasformare i gruppi sociali in comunità di persone che si sostengono. Le interazioni umane sono in sintonia con la natura, con l’umore del tempo, in un paese che sconta la sua ingenuità e complessità nel cinismo della proposta fascista.
Come Annetta, una piccola sorella d’anima, nell’ultima storia del libro: “Camminavo sola fra due solitudini elementari, che si guardavano fisse: la pianura e l’orizzonte. In entrambe specchiavo la mia, con un abbandono che finiva col togliermi a me stessa per rendermi parte della terra e dell’aria; e in ciascun punto mi pareva di vedere riflesso il mio volto.”
Benedetto Croce non perdona all’Autrice di essere impegnata nella denuncia e nella propaganda sociale, di sacrificare “a un dovere immaginario, qual è servire col verso alla causa degli oppressi e degli afflitti, un dovere reale, che è quello che l’artista ha verso l’arte: l’imperativo categorico di far opera bella e nient’altro che opera bella”.
Peccato che il grande autore sottovaluti la cifra politica dei racconti di Ada Negri. Invece, è proprio lo spazio e il tempo concesso all’ io privato che le viene rimproverato, il segnale di emancipazione e di allontanamento dalla mentalità che mantiene le donne sotto il giogo dei giudizi e dei pregiudizi legati al sacrificio e alla sottomissione.
“L’è un’anima intraversàda”, la gente mormora della merciaia Caterina Domprè e vale per tutte noi, anime inquiete attraversate dall’esperienza, dalle relazioni, dai desideri. E il troppo amore è come il poco amore, sempre di non amore si tratta, tossico e simbiotico, a decidere l’allontanamento di Ada dal marito Giovanni Garlanda, industriale tessile.
La scelta di partire da sé, dalla lettura della storia personale, nell’Italia benpensante che relega in casa la donna riconosciuta solo come sposa e madre, a servizio di un sistema immodificabile di leggi non scritte, credute naturali, è la via perché Negri venga mal sopportata dai fascisti e allontanata dai socialisti. Ada Negri “s’affatica per raggiungere l’oscurità: un’oscurità non di parole, ma di sentimenti… Grida, ma non vuol essere né ascoltata, né compresa”, secondo Giuseppe Antonio Borgese, altro giudice severo.
Le gallerie di ritratti femminili di Negri sono l’opposto delle immagini retoriche e falsamente gioiose in cui il fascismo relega le madri, le mogli, le figlie, le amanti, tutte, carne da manicomio, appena disobbedienti e se capaci di pensiero critico. E la maternità è descritta come un’esperienza complessa, dolorosa e triste, oltre ogni propaganda.
Di noi donne nessuno ha mai capito nulla, leggiamo nel racconto Signora con bambina: Negri riesce, così, a rendere testimonianza a nome di tutte le donne e ad anticipare la rivoluzione disarmata di ognuna, ancora oggi in corso. Queste donne rimangono diverse non solo da molte contemporanee, ma anche diverse da sè stesse, a riconoscersi in continua evoluzione per le conquiste civili, a cercare l’indipendenza economica, l’autonomia psicologica, la libertà di poter tenere insieme gli opposti, i dubbi e le certezze, la cura di sé, del prossimo, della casa e del lavoro.
Il rimprovero che le rivolge Pirandello, Ada Negri “ha la voce piena di vento più che di parole”, sembra un bene-dire; e quella voce arriva fino a noi, dalla portineria, dal collegio, dalla fabbrica in cui aspetta l’uscita della madre Vittoria, dai luoghi violati dalla guerra e dalla miseria. Leggendo i racconti, sentiamo il vento pungente dell’insofferenza per l’ingiustizia sua e delle altre. E, grate, a ottanta anni dalla sua morte, accogliamo ancora il suo respiro.
I testi considerati:
Negri, Ada. Sorelle, Vicenza, Neri Pozza, 2025
Rasy, Elisabetta. Tre passioni, Milano, Rizzoli, 2011