Una città per sè

Una città per sé – la visione della Città Metropolitana da Christine de Pizan alla differenza di genere [1]

 

Le città sono un insieme di tante cose:

di memoria, di desideri, di sogno d’un linguaggio;

le città sono luoghi di scambio,

come spiegano tutti i libri di storia dell’economia;

ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci,

sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.

Il mio libro s’apre e si chiude su immagini di città felici

che continuamente prendono forma e svaniscono,

nascoste nelle città infelici.

Italo Calvino

 

 

A Giovanni,

che ha agito la città, la scuola, la persona,

che non ha avuto obiettivi da raggiungere,

ma solo strade e versi da percorrere,

con scarpe grosse,

con amore

 

 

Premessa

Il mio lavoro indaga le ricadute degli aspetti psicologici intorno all’idea di Città Metropolitana. Infatti, una cosa è accorpare 41 comuni, altra è far sentire corpo gli abitanti di 41 amministrazioni comunali. Si effettua un passaggio da gruppo a comunità, da gruppo a stormo, definito in una precedente ricerca. (http://www.ndcomunitadiricerca.it/dalla-squadra-allo-stormo/).

E parto da me che da una vita fuggo l’appartenenza cementificata a gruppi, fuggo possibili prigioni in perimetri definiti. Questa ricerca ha inizio in un vecchio frantoio di famiglia, ereditato e scelto come studio/casa. In origine, ricordo bene, una vetrina decorata con preziosi merletti si apriva direttamente sulla strada, come una via di luce per l’interno buio, come una possibilità di rimanere a parlare sulla soglia per gli abitanti e per i visitatori, come un corridoio che permetteva lo scambio, la mescolanza, gli sguardi casuali, gli incontri di passaggio, la curiosità.

Io vivo in un open space, non ho mai costruito una vetrata, un’impalcatura muraria che consenta di separare in modo definitivo il dentro dal fuori. Ma la piccola porta a vetrina non c’è più, il grande e solido portone di legno è sempre chiuso, misura, certo, della mia scelta di esserci con riserva, di fiutare il pericolo, di poter pensare bene, prima di aprire. Io ricevo per appuntamento e non è possibile incontrarmi per caso. Registro un tratto comune durante le frequentazioni della mia casa/studio, sia negli sporadici incontri con gli amministratori della politica che con i miei clienti e il prossimo, in generale: non solo la paura del diverso, ma la paura di chi è uguale, di chi si conosce da sempre e, per questo, annoia, visto che se ne conoscono i vizi, le appartenenze, le abitudini e le tentazioni.

Mi impegno a favore di scelte urbanistiche che mettano al centro della città la relazione e non la mercificazione, i temi dell’abitare con le difficoltà delle persone e con le nuove povertà. Il patriarcato, immortale e onnipresente, ha creato le architetture con vicoli ciechi, chiuse, severe, controllate e dure, come le mentalità ignoranti e arroganti, suscitando gli eccessi del poco e del troppo: sono pochi o sono troppi gli eventi, le inaugurazioni, le feste, gli spettacoli. In quanto occidentali, siamo tutti e tutte figli – non figlie, ma solo figli – di Eros. Platone parla di Eros come erede di Poros e Penìa, di Abbondanza e di Mancanza. Di conseguenza, la realtà che è il limite e misura, cura e valutazione, deve essere messa al mondo come figlie.

Propongo percorsi formativi di Educazione alla Persona – diversi dalle conferenze, dalle tavole rotonde, dai seminari – sistematici e perenni, per gli amministratori e per la cittadinanza, per una visione della Città Metropolitana ripresa dalla Cité des Dames di Cristine de Pizan e dalla lettura delle donne della differenza di genere.

Non credo nelle architetture che, da sole, favoriscano le relazioni. La circolarità di un luogo, di una costruzione non garantisce tout court la relazione e il benessere di chi vi dimora.

Evidentemente, non immagino una città di sole donne, né inseguo, se pur interessata, la suggestione di una società come i Moso, nello Yunnan, ai piedi dell’Himalaya, affidata alle dabu o matriarche. (E’ una società matrifocale e matrilineare, in cui non esistendo il matrimonio, è risolto il conflitto permanente tra l’agnazione e la cognazione, cioè tra la parentela di sangue, maschile, e la parentela civile, acquisita attraverso il matrimonio con una donna.)

Sono contraria a pericolose logiche di appartenenze identitarie e chiedo di ragionare sulla globalizzazione non in opposizione alla localizzazione. Le riconosco, piuttosto, come due opportunità da studiare: la specificità e l’unicità originale di ogni luogo e la complessità dei fenomeni connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo.

 

[1] Attraverso la proposta e il progetto dell’arch. Loredana Modugno, l’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Bari, nell’ambito della programmazione della Commissione Pianificazione Territoriale, intende promuovere, quale progetto prioritario per le annualità 2014-2017, attraverso l’organizzazione di eventi tematici itineranti, un piano di azioni di sensibilizzazione finalizzate a condividere la conoscenza dei territori della “Città metropolitana”, evidenziandone criticità e punti strategici, al fine di sostenere modelli di sviluppo virtuosi, condivisi e sostenibili.

L’idea è quella di sviluppare una piattaforma collaborativa che riunisca figure che operano sul territorio attraverso la co-partecipazione. Tale piattaforma collaborativa è un format di ricerca aperto, basato sull’idea che lo sviluppo delle conoscenze e la condivisione siano gli strumenti principali per trovare soluzioni concrete per uno sviluppo urbano sostenibile. In un territorio ricco di storia, di tradizioni e di bellezza, il progetto Pianifica T.U. (Territorio e Urbanistica), rappresenta una occasione per valorizzare le singole specificità presenti nei comuni metropolitani, ma anche una opportunità per aumentare la “cultura complessiva”, diffondendo conoscenza sui cambiamenti in atto. Pianifica T.U. è un progetto di pianificazione “comunitaria”, che individua nella condivisione di idee e progetti innovativi realizzati da architetti, pianificatori, innovatori sociali, ricercatori, cittadini, etc., la possibilità di generare modelli di sviluppo.

 

Riflessioni e ragioni

Credo nelle visioni, negli orientamenti, nelle pratiche avviate verso la comunità democratica e verso le idee coltivate da Simone Weil prima e da Adriano Olivetti negli anni cinquanta.

Il nonluogo è riconosciuto da Marc Augè nel ‘92 come luogo privo di un’identità, anonimo, staccato da qualsiasi rapporto con il contesto sociale, la tradizione, la storia. Esso, in fondo, si definisce nella struttura, non nella funzione. E la funzione dipende dalle presenze, dipende dalla volontà includente. Il luogo comune del nonluogo può essere un passaggio evolutivo, naturale e consapevole, da gruppo neutro e obbligato, a comunità carnale nella diversità di genere.

Le città, inclusi gli aeroporti, gli ipermercati e i parchi di divertimento possono essere il luogo dell’homo socialis, delle persone in relazione. L’individualismo è un passaggio di crescita, l’essere umano cerca inevitabilmente l’incontro, lo scambio, la comunicazione, l’affiancamento e cerca un senso. Ogni città è serbatoio di possibili esistenze comunitarie, di potenzialità collettive ed è matrice di testimonianze e di patrimoni della civiltà.

«La disciplina urbanistica si è costruita in funzione della salvaguardia della proprietà privata», nota Bianca Bottero, urbanista del Politecnico di Milano e della rete delle «Città vicine».

L’essere umano nasce eletto e condannato alla relazione e la Città metropolitana esprime una comunità consapevole e convinta, oltre che un ente locale previsto dalla Legge sulla Riforma dell’Ordinamento degli Enti locali (Legge 8 giugno 1990, n.142).

Attraverso una lettura psicologica, la Città Metropolitana si racconta come un modo di stare al mondo, una visione della vita integrata e includente, una opportunità per passare da immagine di un gruppo a senso della comunità. La Città Metropolitana è Weltanschauung, è modello, anche psicologico, di crescita umana, sociale ed economica.

E’ importante vedere i luoghi che caratterizzano le nostre tappe di vita e ridisegnare una geografia simbolica, una mappa del cuore. Chi ha un luogo, chi ha luoghi, ha anche una storia da raccontare.

C’è una giustizia in ogni luogo; in esso tutto convive, tutto esprime un senso della presenza: il benessere, l’appartenenza, l’integrazione, la coesione sociale.

In latino, habitare secum, in francese chez soi, a casa propria, abitare la propria interiorità: è questo il valore che ribadisco nella scelta della Città Metropolitana.

Il viaggio inizia proprio da qui, qui dove siamo, non esiste un altro posto e un altro tempo: il cammino continua a fianco degli altri. Non è possibile pensare di poter esistere al di fuori della comunità urbana. Il gruppo divenendo stormo libera una creatività interattiva che guadagna il suo successo dalla capacità relazionale delle persone. Voglio incontrare e formare persone che sappiano non solo risolvere i problemi ma porli, persone non solo brave ad adattarsi a ruoli prestabiliti e a difenderli, ma a suddividerli, ad orientarli, a crearli.

Siamo vittime di un riduzionismo pedagogico: il pensiero, la teoria, la prospettiva psicologica, sono state semplificate, ridotte a show televisivo, quasi che i destinatari, oltre ad avere poco tempo, avessero anche poco cervello. Quindi è indispensabile partire da ogni territorio mentale indagato (sviluppo, comunità locale/globale, concertazione ecc. …) conoscendo e mettendo in comune le mappe mentali di quante più persone possibili, come il progetto Pianifica T.U. propone.

L’intelligenza è intelligere, cogliere i nessi. Molti sono intelligenti, ma non coltivano l’intelligenza sociale perché dopo aver colto i nessi, non sanno che farsene.

Un’intelligenza incapace di considerare il contesto e il complesso rende incoscienti e irresponsabili. Cultura è recuperare tutte le parti del sé in cui contraddizione e coerenza non sono caratteristiche che si autoescludono, ma variabili infinite di un’unica realtà. La cultura della Città Metropolitana è immaginazione, studio e ricerca, attività, energia, qualità della collettività, stratificazione storica. La cultura, senza il pensiero e la relazione che la fanno bella, è inutile e diviene malessere psicologico, iperattività, ossessione di produzione, sovraesposizione, fumo.

“La Città Metropolitana rappresenta la comunità, ne cura gli interessi, promuovendone lo sviluppo sociale, culturale ed economico del territorio, secondo principi di sostenibilità, tutela ambientale, solidarietà e considera la diversità territoriale come valore per la definizione delle politiche di area vasta”(dallo “Statuto” della Città Metropolitana di Bari approvato il 18 Dicembre 2014)

Esploriamo ed esprimiamo assieme al nostro prossimo, i modi di essere Città Metropolitana, non come Barcellona o Parigi, ma proprio in quanto Bari.

Prima di ogni azione, l’intervento è psicologico e prevede il lavoro con mentalità obsolete, con i copioni perdenti e non vincenti, con gli usi e i costumi reiterati senza discernimento e senza critica, con le interazioni psicologicamente malsane di giocatori psicologici incalliti, perché inconsapevoli e ripetitivi, con i ruoli sociali venduti e comprati per tornaconto personale e pericoloso.

La pianificazione e la progettistica sono le azioni concrete che seguono un pensare profondo, condiviso, a lungo termine, sul corpo sociale. Esse richiedono una scelta politica, di comunità ed una politica come tensione verso la comunità.

Il tempo degli esperti di bilancio, degli amministratori, dei tesorieri, prevede, prima, il lavoro dei filosofi e delle filosofe, degli psicologi e delle psicologhe.

La pianificazione psicologica urbanistica territoriale sostituisce, all’inizio, la pianificazione economica e dei poteri. Il “grattacielismo” non si esprime soltanto nell’ostinata costruzione di grattacieli, ma nella relazione che architetti e clienti hanno con la visione dello spazio di vita e di comunità umana. La verticalità e l’orizzontalità delle costruzioni rappresentano una variabile psicologica, oltre che architettonica.

Certo, non è un invito a pulire ogni volta le stalle prima di andare a cavalcare, semmai, esprimo l’esigenza di una scelta consapevole, di coscienza, di etica perché, se manca, continuerò a registrare la compulsione nell’aprire locali, nella riabilitazione di zone urbane abbandonate, nel costruire, nell’organizzare sagre, festival, serate a tema. Per farne cosa? Perché e con chi? La ripetitività non richiama necessariamente un disturbo neurologico e del comportamento sociale ma, sicuramente, mette in luce la mancanza di governo dell’età adulta, reiterando un primordiale atto piacevole, comunque solitario, nonostante la presunta gruppalità. Far vedere, ostentare, mostrarsi sono manifestazioni opposte al benessere. La quantità non è la categoria di valutazione della persona e della città secondo la differenza di genere: senza struttura progettuale ampia, senza télos, senza un senso e un fine pensato, chiaro e condiviso, ogni funzione, ogni attività realizzata, è un sintomo, non un’opera artistica.

Osservare un luogo significa venire a contatto con emozioni, pensieri, ricordi personali che quel luogo suggerisce. Ogni luogo scelto, grande o piccolo, ricco o povero, è accettato da ciascuno come proprio, ristrutturato, vissuto; esso è il segno della presenza. Considero la valenza emozionale che ogni posto assume quando è frequentato, quando è vissuto da esseri viventi.

Contemplare un posto, continuare a guardare un luogo, incamminarmi in stanze e corridoi, mi rinvia al templum, all’arte di osservare i confini del tempio e, in essi, abbandonarmi.

Il luogo ci ridà la libertà essenziale, quella di essere dove siamo. Esso, diviene anche un fenomeno spirituale: infatti, se il tempo struttura la personalità, il luogo forgia l’anima.

Gli esseri umani bambini, matti, vecchi, difficilmente si staccano da quello che hanno appreso a sentire e a riconoscere come il proprio posto. Esso rappresenta l’identità, l’allontanarsi ha il valore della impossibilità di riconoscersi, esprime il senso della fine.

Ma dobbiamo tener conto che “… l’anima è molto lenta … La psiche non ha metodo, non è metodo. Il metodo è solo un percorso. Il significato della parola methodos è passeggiata, sentiero; perciò bisogna immaginare.” (J.Hillman), e – ancora – che “… l’appartenenza è ripensata in termini di esperienza di luogo. Il nostro bisogno storico è trovare legami, solidarietà. I luoghi non ci impongono regole rigide e principi; ci chiedono di interpretare e reinventare la realtà, riconoscere e riscoprire i legami con dimensioni meno esplorate: è qui, alla fine, l’origine della loro suggestione e del loro fascino” (C.Truppi).

Attraverso la protezione che ci offre il riconoscimento del sé e del proprio luogo possiamo arrivare con potenza e coraggio alla scelta del nonposto. Perché il mio posto, il posto di ogni essere umano è, in fondo, un nonposto, è il luogo, cioè, di ciò che adesso sta già cambiando. Intendo il nonposto come luogo del divenire, lontano dall’ostinata conservazione dell’identico.

Mi riconosco, allora, oltre che nelle righe nere, nel luogo che mi è stato dato, anche, negli spazi bianchi fra una riga e l’altra che rappresentano ciò che sta cambiando adesso in me e nel mondo.

C’è una cosa che si può trovare in un unico luogo al mondo: è un grande tesoro, lo si può chiamare il compimento dell’esistenza. E il luogo in cui si trova questo tesoro è il luogo in cui ci si trova (M.Buber).

Ritengo indispensabile, nella profonda crisi di identità che tutti coinvolge, lavorare nelle città, nelle aziende, sul valore dei luoghi dove la gente trascorre gran parte della giornata. La formazione è il topos, è l’ambito spaziale idealmente determinato, in cui prenderci cura dei nostri luoghi che partecipano alla creazione della nostra identità, prima ancora che dell’idoneità, richiesta dal mercato del lavoro, perché “… i luoghi dell’educare dovrebbero essere belli – non solo funzionali – perché la bellezza educa: non è un di più, ma un indispensabile nutrimento dell’anima”(Crepet) .

Il piacere di abitare un luogo e di riconoscermi in esso, mi permette di andare avanti, di imparare, di proseguire oltre, di immaginare ciò che ancora non si è rivelato, di allargare la primaria identità perché non diventi una gabbia o uno strumento di esclusione.

Occorrono radici salde, occorre un luogo che rappresenti la stabilità, perché ciascuna persona possa godere, in seguito, la ricerca del nonposto, il quale diviene il privilegio di chi è curioso, non la condanna di chi continuamente cerca un rifugio da difendere per sopravvivere ai nemici.

Storicamente la città è nata in opposizione al territorio. La città è il chiuso, l’ombra, il fuoco, mentre il territorio è l’aperto, la luce, l’aria. Durante l’espansione della civiltà urbana il rapporto con il territorio si è modificato. La città ha cominciato ad ospitare fabbriche e si è accresciuta l’importanza dei trasporti. Il territorio è stato segnato da infrastrutture, le strade, le ferrovie e le vie d’acqua e d’aria.

Contemporaneamente sono aumentate le ragioni per uscire dalla città e percorrere ed usare il territorio. La città comprende il territorio e l’una e l’altro non sono realtà antitetiche. Il territorio urbanizzato prevede in alcune parti una urbanizzazione più densa, in altre la presenza della natura.

Nell’ultimo secolo la città si è estesa a macchia d’olio e sono proliferate le sue propaggini rurali-urbane: lo “svillettamento” delle campagne, le lottizzazioni a nastro lungo le coste e le vie di comunicazione. La campagna coltivata si è ridotta notevolmente come la pastorizia relegata ad attività marginale, dalle colline, dalle alture, l’insediamento è franato.

In conseguenza, l’extraurbano è diventato res nullius, terra di nessuno; luogo di attesa per l’ingresso tramite speculazione fondiaria, nel regno infetto dell’urbano, luogo delle discariche, dell’esportazione fuori dagli scarti urbani.

In questo scenario sommariamente rappresentato, sottolineo che il cucciolo d’uomo e di donna nasce nell’attaccamento e nell’adattamento: ogni luogo rappresenta l’appartenenza ad una terra, ad un gruppo, ad una famiglia. Solo attraversando un territorio, sentendomi appartenente a qualcosa o a qualcuno in un posto, solo adattandomi ad un ambiente, ad una comunità, posso, in seguito, avvertire e seguire la spinta ad andare, a continuare, a conoscere altri luoghi e ad integrare, infine, altre persone nella comunità. Solo chi sa di avere un posto dove poter tornare può partire, apprendere e può scegliere di proseguire. E’ indispensabile lavorare nelle città, nelle aziende pubbliche e private, nei comuni, sul valore dei luoghi dove la gente trascorre gran parte della giornata. L’impegno è re-immaginare gli spazi e le persone in attività, al fine di creare la cultura condivisa, il know-how della Città metropolitana.

 

Metodologia

Nella Città metropolitana, il partire da sé e il pensare assieme sono le metodologie della narratività. Ogni partecipante può esprimersi come homo sapiens, ludens, faber e imaginarius, cioè, come una persona che sappia lavorare e godere delle sue attività, utilizzare l’intelletto ed il cuore, raccontare parole pensate ed immaginate, dire e custodire la propria origine.

Il modello proposto è quello del progetto Pianifica T.U.; esso comprende un percorso costituito da incontri formativi per gruppi di 12/15 persone, in luoghi e spazi diversi che prevedono il massimo della differenziazione con il massimo della integrazione.

Il fine è l’armonia fra i vari protagonisti nell’elaborare pratiche quotidiane per uno sviluppo urbano sostenibile. Il fine è condividere, soprattutto la coscienza di ogni luogo, oltre che la sua conoscenza.

Crediamo che il progetto Pianifica T.U. debba essere pensato e realizzato, più che detto. E’ indispensabile evitare la divisione tra fare e pensare perchè, in seguito, in un falso mondo del lavoro, esso porta le persone a dividersi in categorie nobili che pensano e razze grossolane che fanno. Nella realizzazione del progetto, il fare presuppone l’attività di pensiero e il pensare ha in sé il seme del comportamento agito.

L’educazione alla Città Metropolitana, dunque, come mentalità, come emozione, come stile di vita per generare modelli di sviluppo possibile. I protagonisti nel progetto Pianifica T.U. si coinvolgono, ascoltano, scelgono le soluzioni e le azioni socio-culturali. Per ogni città non ci sono cambiamenti assoluti da proporre, scelte giuste a priori. Ogni cittadina/o ha un patrimonio di conoscenze, di attitudini e di interessi, di aspirazioni e di bisogni: il lavoro è esaltare, coltivare, potenziare, plasmare ogni argilla informe, per liberarne l’opera d’arte al suo interno.

 

Conclusioni

Tenendo conto di quanto sopra illustrato ed in conclusione dei lavori del workshop Pianifica T.U. emergono, condivise dal gruppo, le considerazioni che sinteticamente riporto.

Gli edifici sono spesso considerati oggetti stravaganti piuttosto che elementi palpabili a cui i nostri corpi e i nostri sistemi neurologici sono inestricabilmente connessi.

L’architettura non è un’astrazione concettuale bensì una pratica incarnata e lo spazio architettonico si costituisce primariamente attraverso un’esperienza emotiva e multisensoriale. Le scoperte scientifiche che offrono benefici in ambito biologico o psicologico, hanno anche la potenzialità di migliorare i nostri ambienti costruiti. In gruppo si sono altresì considerate le implicazioni delle neuroscienze per la progettazione architettonica.

Rivedere le categorie mentali è il lavoro di base, prima di ogni intervento/attività. I dipinti, il verde, le installazioni, l’apertura di attività commerciali, rischiano di essere un frastuono inconcludente che infiamma e che non diviene orientamento civico comune, servendo solo ed esclusivamente a rendere visibile la competenza di chi crea e realizza le opere. Mi preoccupo quando il fare, il cambiamento, le “novità” non sono anticipati e sostenuti da una prospettiva libera, includente e felice dell’esistenza.

Formare, mettere in forma, rappresenta il fondamento per l’innovazione. Attraverso il lavoro di gruppo, non presento un prodotto, ma metto a disposizione un servizio. Ritengo fondamentale sottolineare che il lavoro sulle mentalità è un lavoro di lentezza, di fatica, di pazienza e di attesa, di semina e di aperture senza reti e riserve.

Consapevole di aver contaminato i settori di ricerca al fine di segnalarne la trasversalità, benedico la comunanza di pensieri realizzata in stormo con gli architetti Annarita Angelini, Francesca Arena, Grazia Cupertino, Angela Palmisano, Luigi Panisco.

Editing: Enza Chirico

Riferimenti bibliografici

  • Lettera Internazionale 118, Corpo umano, corpo urbano, 2013
  • Marc Augé, nonluoghi, elèuthera, 1993
  • Marc Augé, Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, 1999
  • Martin Buber, Le parole di un incontro, Città Nuova, 2000
  • Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, 1993
  • Paolo Crepet, Voi, Noi, Einaudi, 2003
  • Francesca Rosati Freeman, Benvenuti nel paese delle donne, ed.XL, 2010
  • James Hillman, L’anima dei luoghi, conversazione con Carlo Truppi, Rizzoli, 2004
  • Harry Francis Mallgrave, L’empatia degli spazi. Architettura e neuroscienze, Raff.CortinaEd., 2015
  • Adriano Olivetti, Noi sogniamo il silenzio, Ed.di Comunità, 2015
  • Roberto Peregalli, I luoghi e la polvere, Bompiani, 2010
  • Christine de Pizan, La città delle dame, Carocci, 2014
  • Edoardo Salzano, Fondamenti di urbanistica, Laterza, 2008

 

 

 

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