Cambiamenti del maschile

Articolo apparso su www.bitontotv.it, novembre 2010

 

Niccolò Ammaniti, Io e te, Einaudi, 2010

Ivan Cotroneo, Un bacio, Bompiani, 2010

Andrea Manni, Strano l’amore, ed.e/o, 2010

Francesco Piccolo, Momenti di trascurabile felicità, Einaudi, 2010

Non sopporto più le persone che mi annoiano anche pochissimo e mi fanno perdere anche un solo secondo di vita. (Prefazione di Goffredo Parise al libro di F.Piccolo)

Negli ultimi mesi di lavoro, sono frequenti gli episodi di uomini che mi evitano, aspettando che il tempo della consulenza esterna passi, manifestando una resistenza culturale più grave di quella psicologica rispetto ai processi di consapevolezza avviati in azienda con la formazione. Mi convincono, allora, questi scrittori, maschi, “ostaggi dell’Autonomia dell’Irrequietezza” (Manni, p.17). Nella quotidianità dell’organizzazione appare sempre più chiara la vecchia e irrimandabile <questione maschile> che alimenta il potere attraverso il rapporto uno-massa. La relazione è pensare assieme e operare per il bene comune, è fondare i legami non più solo sulla forza, ma sulla capacità di comunicazione e comprensione reciproca. “Una delle operatrici mi aveva spiegato che non esistono persone belle o brutte, esistono solo quelli che hanno qualcosa, e alla fine tutti, chi più e chi meno, hanno sempre qualcosa se hai voglia di guardare bene.” (Cotroneo,p.14)

Gli autori ci aiutano nella riscrittura del potere maschile e del potere patriarcale proponendoci l’incontro con personaggi che si adattano e contrattano, che arrivano a vedere l’altra persona nella sua fastidiosa alterità e non come appendice. Uomini intelligenti, nelle pagine lette, perché capaci di desideri e di immaginazione.

“Poi l’ho vista. Stesa a terra tra i soldi, sola e disperata. Dentro di me qualcosa si è spezzato. Il gigante che mi teneva contro il suo petto di pietra mi aveva liberato.” (Ammaniti,p.85)

Rifiuto l’alternativa che molti uomini propongono tra il consumo del corpo, della mente dell’altra/o e l’autocontrollo perbenista coperto dalla pretesa buonafede o dalla concessione all’ansia del ruolo. Accettare la libertà di differire, di divergere, oltre le proiezioni personali, significa essere liberi, significa pensare, proporre relazioni reali, sentire una <piccola felicità malinconica>. “…pian piano, invece, ho imparato a resistere, e resto affezionato alle cose che mi piacciono, penso che non fa niente se sono arrivato tardi. Mi sento un po’ stupido, ma un po’ felice lo stesso.” (Piccolo,p.50)

Il pensiero dominante in tutte le mie esperienze aziendali non è l’episodio conclusivo dell’esclusione altrui, ma ciò che la precede: la concezione del gruppo, del lavoro, della relazione, dell’organizzazione stessa.

Propongo, regalando questi libri, di cominciare a parlare delle nostre modalità relazionali, dolorose e gioiose, di come ci esprimiamo nelle comunicazioni, di come costruiamo le relazioni, di come le neghiamo, di come ne abbiamo paura.

Non è tempo perso, il tempo dei nostri personaggi; essi maturano attraverso le tappe dell’esperienza, non buttando via niente. Divenire capaci di realtà vuol dire attraversare l’esperienza del limite, della parzialità, della distanza, della diversità, della perdita del controllo sulla propria vita e su quelle degli altri.

La realtà della faticosa vita quotidiana diventa degna quando arrivo all’incomprensione davanti all’altro, a registrare frasi, atteggiamenti che non mi aspettavo. Se rinuncio al ricatto seilasolitascemaillusa, allora, sperimento quel <consegnare l’altro a quello che è> che la riflessione del filosofo insegna e che la metodologia psicologica chiama decontaminazione.

“Mi faceva impazzire, quando vedevo un film, che papà e mamma stessero sempre a discutere della fine, come se la storia fosse tutta lì e il resto non contasse nulla.” (Ammaniti,p.96)

Il tempo di quel <resto> che rimane fra la pretesa della prima e dell’ultima parola è il tempo donato alla relazione. Non esistono geni dell’aggressività e lo studio del giovane Telmo Pievani allontana i pregiudizi sulla violenza innata. È la scienza, oltre all’arte e alla letteratura, a mettere in luce, nelle stesse specie, la varietà di strategie adattive improntate alla solidarietà di gruppo, alla reciprocità e all’altruismo.

Nelle storie raccontate da ciascun autore è superata l’idea infantile del Vero Uomo, a favore del limite dell’uomo vero che, abbandonati i narcisismi adolescenziali, decida di aiutarmi, per esempio, a districare la matassa dei rapporti simbiotici e fusionali nei luoghi di lavoro. Puzza di alibi la chiusura nel violento silenzio con l’ambaradam di comportamenti escludenti, manipolativi, legati al potere piccolo piccolo di tenere in scacco, di decidere senza l’altra/o, di stabilire a prescindere.

Aspetto uno scatto di dignità verso una relazione nella quale si apprende proprio perché conflittuale, aperta, sempre, a incomprensioni, dubbi, ripensamenti.

“Anzi, nella notte, quando i pensieri prendono corpo con più coraggio, penso che c’è di più: e se sono io con il mio desiderio di guardare e di tenere tutto insieme, tutta la strada – se sono io che con il mio desiderio che le cose accadano in modo morbido, le faccio accadere in questo modo morbido?”(Piccolo,p.83)

 

 

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