25 novembre: memoria patriarcale di Stato

Riflessione pubblicata parzialmente sul mensile Primo Piano – dicembre 2015

 

A Caterina, figlia a me, verso di me,

perché eserciti il discerniménto

 

Oltre l’applauso o il dissenso, avverto l’urgenza di capire e di interrogarmi.

 … Ma che cos’è la femminilità che il maschio dovrebbe reperire nel suo inconscio? È la figura della “relazione” che la donna esprime già nel suo corpo il quale, a differenza di quello maschile, è predisposto per l’altro, sia nel senso della generazione fisica (che avvenga o non avvenga), sia nel senso della relazione amorosa. E questo perché la donna cerca la sua identità a partire dalla relazione, a differenza del maschio arroccato nella sua identità a prescindere dalla relazione. L’evoluzione del maschio, per poter essere politica deve essere prima psichica, e spero che non richieda, come tutte le evoluzioni psichiche, qualche millennio.

Umberto Galimberti, D la Repubblica, 12 marzo 2011

 

Eva, Havà, fa il giusto movimento, dal basso verso l’alto, di spiccare il frutto della conoscenza. Una legge contraria a quella di gravità le sollevava il braccio verso l’alto. Esiste in natura, oltre all’attrazione terrestre, un’attrazione opposta, da chiamare celeste. Eva, Havà, non aspetta che il frutto cada in grembo. Da un albero, compreso quello della conoscenza, sarebbe caduto comunque. Lei lo va a spiccare finché alto sul ramo. L’effetto di quella prima conoscenza è un’espansione delle percezioni: “E si spalancarono gli occhi di loro due”. Lei e Adam scoprono di essere nudi. Nessun animale sa di esserlo. Da un’ora all’altra loro due non appartengono più al resto delle specie viventi. Sono diventati una variante, la novità che aggiunge.

Erri de Luca, E disse, Feltrinelli, 2010, p.40-41

 

Il 25 novembre di ogni anno è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne e può diventare la giornata dei dualismi riproposti ovunque, fra il dentro e il fuori, la piazza e l’abitazione, il pensiero intimo e l’esposizione, fra la violenza, da una parte, e la normalità, dall’altra. Dopo la giornata di denuncia per ribadire la forza delle donne e sollecitare dovuti cambiamenti culturali e politici, chiedo vite di comunità per problematizzare il pensiero e il sentire nei corpi, diversi, numerosi, inquieti. “Non si uccide per amore, ma l’amore, c’entra”, afferma Lea Melandri.

Una certa cultura a senso unico che chiamo monocultura, mette continuamente in scena le azioni di uomini di potere e di donne che ne imitano i comportamenti: il comando, il controllo, l’abuso, il ricatto, il possesso, la manipolazione sono variabili del mito della virilità minacciata. E, ancora, sfilano immagini di violenza maschile reattiva, con posture che dichiarano il disorientamento e il vittimismo.

Il quotidiano di ciascuno/a, il lavoro, la famiglia, le comunicazioni, sono considerati fuori tema. Propongo che, come Lea Melandri dichiara, il fuori tema divenga il tema e che, quindi, possiamo dirci dello scarto, di me e di te e di noi e di questi corpi nostri.

Della manifestazione in piazza, del pubblico, mi importa il processo, il privato, la viandanza. Voglio parlare di violenza alle donne, di bullismo e di resistenze maschili ad adeguarsi ad una sessualità altra dalla loro, quella che molte donne vanno scoprendo, esplicitando la corporeità e il diritto di non subordinare la loro volontà ad altri. Propongo di riflettere sulla natura sessuale della cultura predatoria, oltre gli stereotipi che imprigionano e segnano le esperienze di sessualità, di paternità e di maternità, di attività lavorativa.

Troppe donne che celebrano il 25 novembre non si sganciano da una narrazione patriarcale. Gli atti simbolici e culturali hanno potere politico ed è davvero il caso di assumerne la responsabilità pensata. L’attività di pinkwashing,  “la passata in rosa” fa sembrare più bello e legittima il potere. È una mistificazione nominare la violenza sulle donne, riunirsi in gruppi, proporre spettacoli di piazze. Dinanzi all’automatismo delle scelte nella ritualità, i feudatari moderni, sorridono compiaciuti.

Mi impegno a vedere, a indagare la connessione tra la crescita ingiusta imposta dalle politiche economiche e la crescita della violenza degli uomini. Il modello economico patriarcale non prevede l’economia della natura e del sostentamento. Il saccheggio della crescita illimitata facilita la cultura dello stupro della terra e la cultura dello stupro della donna.

Venir fuori, sì, ma, soprattutto, sapere cosa farne e come, degli svelamenti attuati. Togli le scarpe (rosse), metti la maschera, recita la poesia, accendi i lumini, urla al microfono: quello che si mette in atto nelle piazze può essere perverso. E’ lo spettacolo che rassicura il patriarcato, perché mostra l’incapacità isterica delle donne di raccontarsi diverse. Può diventare una recita conformista che non rompe alcuno schema.

Spesso, le donne si muovono all’interno di una dicotomia rigida: santa o puttana; vittima o strega. Da una parte, le piccole donne consegnate ai salvatori, ai nuovi patriarchi, quelli moderni e telegenici, più pericolosi di quelli vecchi e cattivi. E, dall’altra, le streghe contrarie ai vittimismi che restano a testa alta per rivendicare le proprie scelte e che vengono consegnate agli inquisitori. Destini paralleli, mai incroci dialoganti.

Incontro donne portatrici di occhi maschili, di sguardi potenti ed escludenti, donne in relazione secondo modelli patriarcali, donne che incarnano proprio le visioni maschili che vogliono rinnegare.

Non sono genericamente contro la violenza e non ripropongo solo la solidarietà con versi, proclami e riti, strumentali, sempre, al potere. Lo studio e la ricerca presuppongono l’analisi dei modelli maschili e femminili, la dualità di genere come interpretazione del proprio sé, la rappresentazione storica del maschile e del femminile, il lavoro sulle radici della propria storia: chiamo questo lavoro Educazione alla Persona.

Credo nell’onestà e nella giustizia di una psicologia sociale possibile che si manifesti non con l’astensione, ma con il continuo vigilare nella contaminazione, non necessariamente patologica. Mettendoci in relazione con quello che andiamo diventando e modulandone il pensiero.

La stessa Legge sul femminicidio rischia di fare da cornice ideologica ad una politica di superficie. Sottolineo alcune variabili.

La parola: il termine <femminicidio> è ancora fastidioso e urticante perché in odore di femminismo e perché, soprattutto, carico di una spiazzante risonanza ancestrale che richiama il gretto rapporto primario tra i sessi e la sua intrinseca ferinità. Il Femminicidio si chiama, con transparenza, Violenza Maschile.

L’inasprimento delle pene: è considerato la panacea di tutti i mali. Punire non sempre significa risolvere. Credo nell’educazione di una visione di vita nel limite e nel rispetto della diversità e non nell’onnipotenza.

La donna non può ritirare denuncia: questo mette in discussione il principio di responsabilità personale della donna rispetto alla dimensione della sua vita personale nel rapporto di coppia. Si attribuisce così allo Stato una responsabilità giuridica che tocca alla radice la faglia densa di inestricabili contraddizioni che, per ogni donna, sta nel rapporto tra pubblico e privato, tra personale e politico.

Il Femminicidio riguarda l’uomo: il delitto scaturisce intimamente dal rapporto tra i sessi e chiama in causa i modi della sessualità maschile nell’epoca in cui viviamo, densa di vecchi e nuovi patriarcalismi fuori controllo e delle convulsioni dell’identità maschile.

La vittimizzazione delle donne: la Legge propone il contrario di quella libertà femminile che ha avuto la forza di operare il rovesciamento. E lo Stato, per il tramite delle sue istituzioni, risponde a modo suo, come si risponde oggi, nell’epoca del declino del Welfare e dello stato di emergenza strisciante: con leggi segnate dall’imperante vocazione securitaria della contemporaneità e dal taglio di tutte le possibili spese sociali che vadano oltre quelle elementari.

Propongo:

– Percorsi di Formazione Permanente nelle scuole sul governo di sé e delle emozioni.

– Formazione Formatori per insegnare la coscienza e la consapevolezza rispetto alle dinamiche di potere.

– Formazione sui Linguaggi per gli uomini e le donne coinvolti/e in ogni campo di attività professionale.

– Laboratori culturali sull’autonomia e le relazioni decontaminate da simbiosi e da giochi psicologici che puntano a tenere l’altro/a sotto scacco.

Il potere, la violenza maschile, i ruoli sociali, i cambi generazionali sono problematiche culturali, da riportare all’impegno di persone psicologhe e antropologhe.

La violenza è la relazione mancata e la Scuola di Educazione alla Persona prevede, oltre lo studio della cultura, anche una personale e radicale indagine interiore.

Il lavoro è sul coraggio di sé, sul coraggio di essere nient’altro che quello che si è, lontano da diplomazie, manipolazioni farisaiche e mercimoni: questo processo personale, libera, pazientemente, anche gli altri e le altre. La grande scommessa è capire, coinvolgersi interamente, con tutta la persona, compromettersi, cambiare.

E’ meglio ammalarsi di libri che davvero.

Segnalo alcune letture, per incominciare:

  • Laura Pennacchi, Il soggetto dell’economia, Ediesse, 2015
  • Vandana Shiva, Fare la pace con la terra, Feltrinelli, 2014
  • Lea Melandri, Amore e violenza, Bollati Boringhieri, 2011
  • Stefano Ciccone, Essere maschi, Rosenberg&Sellier, 2009

 

Editing: Enza Chirico

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