Silence

C’è un tempo perfetto per fare silenzio

 

 

 

 

 

 

 

 

Ph.: Fonte Silvia Meo

 

La cosa più importante è quella di guardare al silenzio come ad una esperienza che non sia mai estranea alla vita, e alla cura in psichiatria. Al di là dei suoi molteplici aspetti, quello che unifica i diversi modi di essere del silenzio è la loro sorgente: quella della interiorità. Eugenio Borgna

 Cosa significa «Sono qui»? Significa «Esisto. Sono davvero qui perché non sono perso nel passato, nel futuro, nel mio pensare, nel rumore interiore, nel rumore esterno. Sono qui». Thich Nhat Hanh

C’è un tempo perfetto per fare silenzio: riprendo alcuni versi del cantautore Ivano Fossati per riflettere sui linguaggi del silenzio e le molteplici forme di espressione.

Considero il tempo e lo spazio del silenzio come una premessa alla scelta della parola adeguata e del suono armonioso. È fondamentale, in ogni vita e per qualunque attività, apprendere a strutturare la quotidianità anche attraverso i momenti di assenza, rispetto alla trincea o al palcoscenico. Nella relazione, il dono del tacere richiama il privilegio della intimità, la gioia della comunicazione non verbale, la garanzia della accoglienza e della riflessione.

Il ritiro spirituale e psicologico è una pratica che ho appreso, in origine, partecipando a gruppi giovanili e, più tardi, verso i trent’anni, durante l’analisi. Il linguaggio del dialogo e il linguaggio dell’ascolto richiedono la disciplina e le buone abitudini, apprese attraverso l’attenzione, la concentrazione, la meditazione, la contemplazione.

Non conosco elenchi, compiti, consigli e obblighi per raggiungere l’equilibrio fra il tormento delle conversazioni e il peso del silenzio, fra l’interazione che argomenta e problematizza, e la silente discrezione. Come per tutti gli esseri umani, in ogni età, condizione e contesto, ho scelto di ridurmi o di spendermi, di proteggermi tacendo o, più spesso, di compromettermi parlando.

Nell’ultimo anno, organizzo la mia giornata seguendo i ritmi monastici e la quiete silenziosa. Talvolta, richiamata dalla voce al cellulare, dico che no, non stavo dormendo, vivo taciturna e concentrata. Il silenzio diviene un riparo, una custodia perché l’interazione, quando c’è, risulti autentica. L’esercizio di consapevolezza acquieta il rumore e cerca la pace interiore per affinare l’ascoltazione. Leggo il termine ascoltazione nella poesia Perché di Giuseppe Ungaretti:

… Si è appiattito
come una rotaia
il mio cuore in ascoltazione…

Divento, così, permeabile con il corpo, con l’anima, con la mente e favorisco un riserbo che non è tensione, ma è rilassamento e abbandono. L’ascoltazione è l’esperienza della carne che coinvolge tutti i sensi. Il lavoro psicologico necessita dell’equilibrio fra il silenzio, il suono e il movimento; fra il vuoto, il pensiero, la scelta e l’azione.

Con il passare del tempo, scopro che tacere non è il contrario di interagire, semmai è un habitus mentale, una disposizione psicofisica verso la ricerca più ampia e la comprensione più profonda. Il silenzio che si prende cura di me, in questa dimora, non coincide con il tacere e non è neanche mettermi a pensare. Consegnarmi al silenzio, in alcune situazioni, serve a non finire invischiata in giochi psicologici, zeppi di interazioni velenose. Stare nel silenzio è attesa di svelamento.

Il monaco buddhista Thich Nhat Hanh è una delle figure più importanti della spiritualità mondiale, attivista per la pace, candidato al premio Nobel da Martin Luther King nel 1967. Apprendo il silenzio come uno stile di vita che riconosce anche il disturbo delle relazioni complicate, frustranti, gioiose, conflittuali.

Il monaco insegna cinque diversi tipi di suono. Scrive: Se riesci a trovare il silenzio dentro di te sei in grado di sentirli. Il primo è il Suono Splendido, il suono delle meraviglie della vita che ti stanno chiamando. È il suono degli uccelli, della pioggia e via dicendo. Il secondo suono è il Suono di Colui che Osserva il Mondo. Questo è il suono dell’ascoltare, il suono del silenzio. Il terzo suono è il Suono Brahma. Si tratta del suono trascendentale, om, che vanta una lunga storia nel pensiero spirituale indiano. Secondo la tradizione ha il potere innato di creare il mondo. Il quarto suono è il Suono della Marea che Sale. Questo suono simboleggia la voce del Buddha. L’insegnamento del Buddha è in grado di spazzare via il malinteso, eliminare l’afflizione e trasformare ogni cosa. È penetrante ed efficace. Il quinto suono è il Suono che Trascende Tutti i Suoni del Mondo. È il suono dell’impermanenza, ci ricorda di non lasciarci intrappolare da particolari parole o suoni né di affezionarci troppo a essi.

La pratica interiore crede nell’ecologia del silenzio e riconosce l’attitudine innata, oltre l’atteggiamento ben orientato. Non prevede necessariamente il silenzio esterno, non significa che intorno a me non c’è e non voglio nessuno. Seguendo il maestro buddhista, il nobile silenzio è una pratica pedagogica per essere liberi e per guarire dalla angoscia di morte che trattiene legati al passato e al futuro e non consente di godere dell’ora presente.

Se il silenzio diviene isolamento può essere un sintomo che segnala una fragilità psichica. Apprendo, nel colloquio psicologico, come indica lo psichiatra e saggista Eugenio Borgna, a distinguere il silenzio, che nasce dal desiderio di solitudine, da quello che nasce dalla timidezza, o dalla depressione, nella quale la vita si oscura, risucchiata dal richiamo della morte volontaria. Come è importante riconoscere il silenzio, che rinasce a causa della nostra incapacità di ascoltare, e di creare una relazione dialogica.

Ad un certo punto, però, avverto un disagio nel silenzio, anche se cercato e difeso, sento una inquietudine che non mi permette di starmene in pace a lungo, di fuggire il caos, senza problemi e senza fastidi. Non desidero ritirarmi dalla cattiveria-del-mondo, alla quale peraltro non credo. Vivo per studiare, per capire, per tornare alla relazione con comprensione e con compassione.

In alcuni periodi storici, in alcune situazioni, il silenzio è intollerabile perché diviene complicità; il fragore di certi silenzi è codardia. Talvolta, peggio della parola che giudico inutile è il silenzio. L’azione nutrita dal silenzio è forte, definitiva, coinvolge il corpo, non per disperazione, ma per desiderio e per amore.

Valuto il silenzio pacificato in ogni distanza fra me e l’altra persona, a favore della libertà nel riconoscere la propria via. Apprezzo la profondità e l’essenziale nell’ultima parola che rimane, dopo averle consumate tutte. Il digiuno della parola scava e mette a nudo. Non mi astengo dal parlare, ma il ricovero presso di me è indispensabile a ritrovare il senso delle parole scambiate. Il silenzio allontana il chiasso, ma rimane attraente, dinamico, costruttivo, favorisce le relazioni, coinvolge le persone, crea la comunità.

Accolgo l’interruzione necessaria del suono, a mettere in forma, perché la voce risulti chiara, ferma, feconda.

Adriana Zarri, teologa eremita, punto di riferimento nella mia formazione, scrive benedicendo: Occorre però avere del silenzio un concetto vitale e non formale. Lo stormire degli alberi, il canto degli uccelli, lo scroscio dell’acqua non lo rompono. Neanche la musica lo rompe: lo rivela; perché il silenzio è come il bianco: non è un’assenza di colore: è la somma di tutti i colori, riassunti e unificati, quasi messi a tacere nella candidezza. Così il silenzio contiene ogni possibile parola.

 Riferimenti bibliografici

Eugenio Borgna, In ascolto del silenzio, Einaudi, 2024

Thich Nhat Hanh, Il dono del silenzio, Garzanti, 2015

Jérôme Sueur, Storia naturale del silenzio, notttetempo, 2024

Adriana Zarri, Un eremo non è un guscio di lumaca, Einaudi, 2011

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